Molti anni sono, principiai a delinear questa bella Parthenope e per la fatica, che non è stata poca, e per diversi accidenti, non mi si è conceduto il perfezionarla se non nel glorioso auspicio di V.E. A lei dunque la dedico, sì per elezione, come per mera giustizia. All’elezione mi muove l’esser l’E.V. il duca d’Alva, al rigor della giustitia mi necessita il suo buon governo, che sicome per avanti era quasi ridotta di nuovo chaos, così ora si può veramente dire che dalla santa mente di V.E. disio[?? disunto] si sia fatto Napoli che non dinota altro che città nuova. Città che è capo del più florido Regno che sia nell’uno e l’altro hemisfero, per le cui doti si straccoron le penne di Strabone, di Servio, di Plinio e di tant’altri, sì che per conservar il suo decoro era necessario che venisse un tanto heroe; e direi più, ma m’insegna Tacito che «Assentatio erga principem quemcumq. sine affectu perficitur». Lascio però che la Fama in mio luogo supplisca all’esaltazione dell’ E.V., la qual riverentissimamente supplico a gradir il cenno in luogo di quanto potrei con verità esagerare, e la volontà per quello che pui [più] farei se potessi, et humilissimamente le fò riverenza pregando all’ E.V. larghezza di vita e grandezze proporzionate alli suoi meriti, che sono infiniti.
Di Nap., adì 15 di Settembre 1627.
Di V.E. humilissimo servitore, Alessandro Baratta.
Tutte queste nominate parochie sono soggette alla maggior chiesa. Vi sono quattro parocchie principali edificate dal Magno Costantino, cioè S. Giorgio Maggiore, S. Giovanni Maggiore, S. Maria di Porta Nova, S. Maria Maggiore. Queste, ogni volta che l’arcivescovo, oppure il suo vicario generale, vien fuora in processione, escono con le croci d’argento, tutte insieme unite senza precedenza a fargli compagnia. Escono anco ad accompagnare i defonti, senza i quali a niuno si puda [può] sepelir.
Oltre di questi nominati monasterii e parochie e conservatorii, ospedali, vi sono anco le seguenti chiese servite et officiate da’ preti
Vi sono anco da 50 altre cappelle edificate da liberi cittadini presso le lor case, similmente servite da preti secolari che per brevità si lasciano.
E tanto nelle predette chiese quanto nelli conventi de’ frati e monaci sono più di cento congregationi overo compagnie de’ laici, le quali fanno molte opere di carità, in scarcerare poveri, pagar li debiti ed altre simili, e di più maritano ogn’anno 665 figliuole, le doti delle quali ascedono alla somma di ducati 29479, senza l’altre che si maritano da altri luoghi pii, come tra l’altri la S. Casa dell’Annunciata in più volte maritano 360 figliuole quali ascendono alla somma di docati 18840 hogn’anno.
Alessandro Baratta alli benigni lettori s[alute].
Volendo noi brievemente dar relatione dell’origine e fondatione della real città di Napoli, lascieremo da parte il gran numero d’autori che variamente ne scrivono, avvalendoci solo della diligenza fatta da Giovanni Antonio Summonte, autore esattissimo, che ne scrive distintamente con molta eruditione.
Fu questa antichissima città edificata da una nobilissima matrona detta Partenope, figliola del Re Eumelo che signoreggiò la città di Fera in Tesaglia, la quale fu edificata dal suo Avolo / detto Fereto, da cui prese il nome detta città di Fera. A questo Fereto succedé Admeto suo figliolo, il quale generò il suddetto Eumelo, padre della nuova Partenope, come s’è detto. La quale, non degenerando punto da’ suoi progenitori, venne ad edificar Napoli nel tempo e modo che siegue.
Correndo gl’anni del mondo 4000, avvenne quella celebre guerra tra greci e troiani, che durò lo spazio di più di 50 anni, ritrovandosi in questo tempo nella città di Atene tra gl’illustri personaggi il suddetto Eumelo assai giovine, che andò anch’egli alla guerra co’ sue navi, in compagnia di suo padre / Admeto a danni de’ troiani. Ma dopo vinta e brugiata Troia, presero ad abitare l’isola di Iuboa, oggi detta Negroponte, ove nacque la castissima Partenope, che nell’idioma greco significa vergine. Ma dopo la morte dell’avolo e del padre, essendo già d’età matura e con animo a cose maggiori, si partì risoluta di trovar nuovi regni e fondar nuove2 città, conducendo seco alcune colonie della città di Calcide, essendo guidata –conforme a’ suoi augurij – da una bianca colomba che sempre l’andava innanzi, sinché si fermò nel luogo dove oggi è Napoli. Qui edificando una città le diede il proprio nome di Parten/ope, e lo ritenne sin del tempo d’Ottaviano fu chiamata Napoli. Scrivono molti autori che questa donna fu tanto amata dai suoi cittadini, che nella sua morte l’eressero un sontuoso sepolcro in onore e riconoscenza della loro fondatrice e regina; il qual sepolcro si tien per cosa certa che fosse stato collocato nel luogo dove oggi è la chiesa di S. Giovanni Maggiore, come affermano3 Strabone, Plinio ed il nostro Summonte. Nell’istesso luogo fu edificato dall’imperatore Adriano il tempio di Apollo, che poi dal pio imperador Costantino, fu redificato e dedicato a S. Giovanni Battista, da noi detto S. Giovanni Maggiore.
In prova di tutto ciò ne abbiamo tre bellissime / antichità [incisione busto di Caponapoli]. La prima è quell’antico busto di marmo eretto presso la chiesa di S. Eligio, al cantone della strada che va verso li Coirari, il quale fino a oggidì vien detto dal volgo il Capo di Napoli, che non è poca fede la tradizione del popolo di cosa così cognita. Questo capo è di donna co’ le treccie accolte alla greca, come dipinta si usa trovandosi anche oggidì in molte monete [incisione moneta greca recto/verso] l’impresa di così fatta donna, [e] / per rovescio il dio Hebone, dio dei napolitani come scrive Macrobio e il Capaccio, il quale sta dipinto nell’Orione di Napoli a’ Seggio di Porto. L’altra antichità è un quadro di marmo dentro la suddetta chiesa di S. Giovanni Maggiore, ch’è posto dietro la cappella del Santissimo Crocifisso, come si vede qui designato [incisione lastra S. Giovanni Maggiore], ove si scuopre chiaramente essere reliquia del sepolcro di Partenope. / Come tale fu prima serbata in luogo publico da Adriano, e poi dal gran Costantino in memoria di così celebre donna. Questo è quanto noi possiamo cavare per cosa più certa dell’origine e fondatione di questa antichissima città di Napoli tuttoché poi di nuovo fosse stata riedificata da’ cumani, come si cava da molte storie. Resta ora per sodisfatione de’ curiosi, il discrivere il luogo ove fu prima edificata e suo circuito.
Tutti gl’autori scrivono d’accordo che Partenope, ora detta Napoli, fusse in luogo elevato, avendo da una parte il mare e dall’altra valli profondissime. Il mare arrivava sino alle scale di S. Giovanni Maggiore, ove / facea porto alla città ed ivi fu eretto uno de’ seggi antichi di Napoli, detto oggi di Seggio di Porto. Il luogo e ‘l circuito della città, con facilità si conosce; atteso che in molte parti vi sono le reliquie dell’antiche mura così ben commesse, che non ha possuto l’ingiuria del tempo rovinarle affatto, essendo formate con quadroni grandi di pietra, e dalla parte di dentro di grossezza 12 palmi, di materia agistitia [?]. Ma in particolare se ne veggono nel principio della salita del luogo detto il Pennino, vicino a quel muro che sostiene l’edificio del colleggio de’ Giesuiti. E questo muro continua verso la parte che va a S. An/gelo a Nido, prima che detti padri avessero fatto le botteghe di sopra. D’indi seguitava avanti il largo di S. Domenico, ov’era una porta della città, detta Porta Ventosa, all’incontro del palazzo del duca di Torremaggiore, essendovene le vestiggia che tiravano verso il palazzo del principe di Conca, vicino a S. Pietro a Maiello. E quivi era un’altra porta che quasi a’ nostri tempi tenne il nome di Porta di Don Orso, ed il detto principe di Conca nell’ampliare il suo palazzo si è avvaluto di detta muraglia e sue pietre.
Da questo luogo continuava la detta muraglia per innanzi il monasterio che ora è di S. Antonio / di Padoa, essendo prima un palazzo del conte di Milito, una parte del qual stava appoggiata sopra l’antiche mura della città e si stendevano sino all’incontro della chiesa di S. Maria di Costantinopoli, dov’era una torre quadra di cui oggi vi sono le reliquie. Voltando poi verso S. Agnello, seguiva per circolo diseguale, o per meglio dire ingannato, fino alla Porta di S. Gennaro, ove una buona parte ne sta in piede; e similmente nel contorno alla bottega del maniscalco facendo angolo, vi stava una porta che se ne vede un gran pezzo fatto a quadroni, come tutte l’altre mura. Vedesi anche un altro vestiggio di / di [sic!] porta in quella strada tra ‘l monasterio del Giesù e di Donna Regina, che rinchiudendo tutto quel luogo dell’Arcivescovato, veniva a calare per quel vico detto de’ Carboni, ove se ne vede buona parte, ed indi tirava in giro in basso sino alla porta del palazzo degli eredi di Girolamo Coppola, ov’era un’altra porta detta de Forcella, che poi fu trasferita a Porta Nolana. Da detta Porta Forcella, veniva detta muraglia verso basso pur in giro, sino all’altra porta che asciva al lito del mare. Appunto sotto il sopportico del monasterio di S. Arcangelo, poco più sopra la fontana de’ Serpi, e ivi caminando il resto delle mura / verso ponente per sotto il palazzo de’ frati dominicani di S. Severo; e traversando la strada de ferri vechi, andava per sotto il monasterio di S. Severino [e] di Marcellino, per S. Angnello detto de’ Grassi, e di S. Pietro detto a Fosarello ch’è di dove noi cominciamo a descriverla.
Per ultimo compimento di sì brieve discorso accenneremo l'ampliationi ed’abbellimenti della Città fatti da tempo in tempo. La prima dunque fù fatta da Cumani, i quali dopo di haverla per invidia destrutta per la peste perciò avvenutali per l'oraculo, sopraciò havuto la riedificorno, quindi poi molti presero motivo di scrivere che / che [sic!] fundatori primi ne fussero, essendosi gia à bastanza provato esserne stata la nobilissima donzella Partenope fondatrice prima e non altri.
La 2. ampliatione fù a tempo de Consoli Roma[ni] nella guerra contra i Sanniti quando arresasi Palepoli città vicinissima di Napoli à Romani fù fatta municipio e di due città se ne fa una quale è Nap[oli], e Partenope spento in tutto il nome di Palepoli l'appellò sotto di quali felicissima non poco crebbe.
La 3.a fù quella che da Ottaviano A[u]gusto nell an[no] 42 nacque il Redentore N[ost]ro Giesù CHRISTO, ampliando le mura di nuove torri la cinse. /
La 4.a ampliatione fù quella del'Imp[eratore] Adriano ove furono ripieni le valli d'intorno alla città, fabbricandovi templi ed altri edifici che fù nel 130.
La 5. fù dal Magno Costantino nel 308, il quale distrusse tutti templi della Idolatria trasformandoli in sacratissime chiese eresse molte Parrochie e nobilitò assai qu[e]sta città.
La 6. ampliatione fù fatte nel tempo di Giustiniano Imp[eratore] nel 540, che fù presa e maltrattata da Bellisario Capit[ano] generale dal quale poi fù rifatta e fortificata.
La 7. fù fatta da Papa Innocentio 4. ove morì e giace sepolto il quale dopo la morte di Corrado Ré mentre venuto in qlta [sic!] ritrovò le mura rovinate e le rifece. /
La 8. ampliatione fù fatta da Carlo primo, fratello di S. Ludovico Ré di Francia, costui edificò la chiesa cattedrale e quella di S. Lorenzo nel luogo ov’era il Palaz[z]o della Republica. Edificò anche il Castel Nuovo e la Torre di S. Vincenzo, ampliò la città notabilmente e la divise in cinque seggi magnificandola grandemente.
La 9. ampliatione fù fatta da Carlo 2., figlio del primo nel 1280. Edificò il molo piccolo ed incominciò il Castel di S. Elmo e poi fù da Carlo V grandemente fortificato.
La 10. ampliatione fù fatta da Ferrante primo circa nel 1483, il quale ampliando la città da S. Giovanni a Carbonara in sino al mare la circondò di / di [sic!] fortissime mura e torrioni di pietra piperni, quali poi furono compite da re Alfonso suo figlio, dal quale fu fatto il Molo Grande. L’undecima ampliatione fu fatta sotto il domino del’imperatore Carlo6 V, essendo viceré don Pietro di Toleto, la quale è stata la maggiore e più notabile, avendo ampliato la città dal palazzo del principe di Salerno, ove è ora la casa professa del Giesù in sino al Castello di S. Elmo, il quale ora s’intende essere dentro la città, come anch’Echia, cingendola di mura trasferendo le porte infino alla chiesa di S. Caterina di Chiaija. E fece la strada Toleta, dal quale don Pietro anche fu il Castello di Capuana ridotto in forma tale che ivi furono / collocati tutti i tribunali reggi della città, cosa in vero di gran meraviglia. A’ tempo di costui anche con l’occasione di detta riforma, fu ampliato e cinto di mura il Castello Nuovo; fabricò anche la chiesa e spedale di S. Giacomo e Vittoria ed altri abellimenti. È stata poi questa fedelissima città abellita ed accresciuta sotto il dominio di Filippo 2° e 3° e del 4°, che per la Dio gratia ora felicemente regna, sotto il governo di diversi viceré sì come fu fatto il nuovo e bello magnifico arsenale, cominciato da don Indico di Mendozza e poi compiuto da don Giovanni Zunica. E dal conte di Olivares fu ampliata la strada marittima sotto l’Officio delle Galere; adrizzò anche / la strada verso S. Lucia del Mare. E da don Ferrante Ruiz de Castro, conte di Lemos, si fabricò il nuovo e magnifico Regal Palazzo, servendosi dell’insigno architetto del cavalier Dominico Fontana. E da don Pietro suo figliuolo, pur conte di Lemos, il quale succedè nel governo a don Alonzo, conte di Benevento, fu detto Regal Palazzo nel frontispizio compito, e di dentro ornato di bellissime pitture. Edificò anche li nuovi Regi Studij, dove ora ora si legge, avvalendosi del’illustre architetto cavalier Giulio Cesare Fontana e del signor Bartolomeo Pichetti suo luogotenente. Fe’ anche fabricare li forni per li biscotti e panatica per le Reggie Galere con altri abellimenti. /
E dal cardinal Borgia fu ampliata la strada per la quale si va al Castello del’Ovo, dalla chiesa di S. Lucia facendo diroccare tutte le case ch’impedivano l’aspetto del mare. E dal duca d’Alva fu finita e adornata, trasferendo la fontana grande ed ergendo un’altra fontana con altri abellimenti. E nel detto Regal Palazzo ha fatto finire molte stanze dalla parte del mare ornandole di bellissime pitture, ed anco ha fatto la Porta d’Alba, ha fortificato ed abbellio il Molo grande, ha fatto il passeggio di Mergoglino, fece mostra generale di tutto il Regno. Mandò 26 milia soldati per soccorso alla città di Genova, ha fatto 9 galiuni con molte galere, ha mantenuto la bondantia. /
Fu questa città fatta degna del lume evangelico e fede christiana sin7 dalla primitiva chiesa ricevendo il battesimo per mano del principe dell’apostoli s. Pietro, il quale più volte celebrò il sacrifitio della santa Messa ove fu eretta poi la chiesa detta di S. Pietro Adara, ordinandovi primo vescovo s. Aspreno e con perpetua successione di vescovi avendosi mantenuta sempre cattolica e fedele. Ha in oltre sempre stimato tanta la protetione de’ santi per suo mantenimento e salute, che avendone in diversi tempi accettatione del numero de dodici per padroni e protettori con certeza infallibile, che quasi dodici fortissime torri debbano sempre protegerla e defenderlla d’ogni ini [sic!] / inimico. E con sicura fede con gli scudi di questi santi e beati averà sempre prosperi i celesti favori, venendo difesa dal miracolosissimo sangue di santo Gennaro, dal valore di s. Angnello, dalla vigilanza di s. Aspreno, dagli esempi di s. Agrippino, dalla santità di s. Severo, dall’astinenza di s. Eusebio, dall’oratione di s. Atanagio, dalla penna di S. Tomaso D’Aquino, dal zelo del b. Andrea Avellino, dalla predicatione del b. Iacomo della Marca, dalla real umiltà di santa Patritia, dalla carità di s. Francesco de Paula. Indi ciò chiara fede ne fanno tanto numero de santi così vescovi e prelati come martiri dell’uno e dell’altro sesso. Rendendosi / anche venerabil madre di molti sommi pontefici ed infinito numero de cardinali, di patriarchi, d’arcivescovi e vescovi con gran copia di cavalieri ed huomini insigni, così in arme come in lettere, che a niun’altra cede. Abitano in detta città da dui milia baroni e feudatarij e cavalieri. I principi passano il numero de’ 50. Duchi più di 60; marchesi arivano ormai a 100, e molti conti: tutti son’obligati alla difesa del Regno. Vi sono anco i cavalieri i quali godono i sette officij supremi del Regno, che nelle publiche sollenità regie ‘a tempo dei re che abitavano in questa città, assistevano apresso quelli, vestiti di purpura con altri ornamenti, con ques [sic!] / quest’ordine come scrive il Frezza, lib. 3, De sub. Feudis, n. 16: il gran Contestabile, il grand’Amirante et il gran Protonotario, sedono òrdinatamente a man destra del Re; il gran Giustiziero, il gran Camerario, il gran Cancelliero, con l’istesso ordine sedono a sinistra; et il gran Siniscalco sede fra i piedi del Re, il che ogi s’osserva con i viceré del Regno. A ciascheduno di provisione l’anno docati 1190.
Questa Illustrissima città è gionta ora in tanto colmo e grandeza e magnificenza che chiunque la vede stupisce in vedere tanta gente quanta ora in essa e suoi borghi dimorano, trapassando al sicuro il numero / il no [sic!] da seicento mill’anime, oltre di quelli che vanno e vengono. E quantunque non sia di gran circuito, essendo quella non più di cinque miglia e mezo, ha nondimeno sette borghi principali, che compresi con la città circondano miglia dudici; ne’ quali si scorgono bellissimi palaggi con vaghi e delitiosi orti e giardini abbondantissimi d’ogni sorte di frutti, ed abbondazza di cedri, limoni e melarango che ivi nascono, anzi vi fioriscono e fruttano ben spesso due volte l’anno, con fontane così d’acqua viva come artifitiosa; et sono talmente ripieni di habitatori, così di signori titolati come da qualunque sorte di persone, che / che [sic!] ogni borgo sembra popolosa ed ornatissima città, e di gran lunga si vedrebbono maggiori se il fabricarvi non fosse stato proibito dalle Reggie Pramatiche. Hanno essi borghi tutti preso il nome delle chiese vi sono. Il primo vien detto di S. M. dello Reto, il secondo di S. Antonio, il terzo di S. M. delli Vergini, il quarto di S. M. della Stella, il quinto di Giesù Maria, il sesto di S. M. del Monte, il settimo, ch’è il più delitioso, nella spiaggia di S. Lonardo col vocabolo corrotto detto Chiaia e d’aria temperatissima e molto giovevole per i convalescenti d’ogni infermità. Al fine di detta spiaggia si vede quella mirabil Grotta per la quale si va da Napoli a Pozzuolo, / fatta dagli antichi greci. Vedesi sul monte, appresso l’intrata della Grotta predetta a man sinistra, l’illustrissima sepoltura di Vergilio, principe de’ poeti. Non lunge da detta sepoltura presso al lido è il sepolcro famosissimo di Giacomo Sannazaro, splendore de’ napolitani: chiamasi il luogo Mergellina. Si va inanzi al legiadrissimo monte di Posilipo, spargendosi a guisa d’un braccio verso mezodì quasi tre miglia nel mare, ove si veggono magnifici palaggi con vaghi e dilettevoli giardini, che per tutta la riviera si scorgono edificati da’ signori napolitani per li molti comodi e piaceri dell’estate.
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