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Pietro de Stefano, Descrittione dei luoghi sacri della città di Napoli, Napoli, 1560.

[7v]

Delle chiese de’ preti, libro primo

[8r] L’Arcivescovato dela città di Napoli fu edificato dagli fundamenti dal re Carlo Primo, che intrò re in questo Regno alli quattro di novembre nelli anni del Signor mille ducento sissanta sei, e morì in Foggia di Puglia ali sette di gennaro l’anno mille ducento ottanta cinque; al quale la regina Maria, figlia del re d’Antiochia, donò il Regno di Gierusalem, qual spettava a lei, et per detta donatione tutti gli re di questo Regno, dopo, sono intitulati re di Gierusalem, sì come ne fa fede il Colennuccio nel libro quinto dell’Historie del Regno.

Nel detto Arcivescovato il cardinal Oliviero Carrafa napolitano, sotto la cappella magiore, fe’ edificare un luogo a modo di piccola chiesa, detto da noi Giuso in Cuorpo, opra maravegliosa e di gran spesa, ornato tutto di marmi gentili, ove si discende da due parti con gradi di marmi, et vi sono due porte di bronzo lavorate di rilevo, ch’hanno di sopra due tavole del medesmo marmo nell’una, all’andar a man destra, sono scolpiti li sotto scritti versi, composti dal famoso Pietro di Gravina napolitano, huomo dottissimo e poeta celebrato:

Currite, qui cupitis cælestis præmia uitæ;
Et castas huc ferte præces; hæc ianua Coeli
Pandit iter, uotis Deus hìc lachrimisq. præcantum
Mitis adest, qui martirio præcibusq. beati
[8r] Ianuarij, totam commisso crimine ab omni
Parthenopen nutu, ac præsenti numine purgat.
Currite, uim patitur diuini Regia Regni.

Quali in lingua volgar dicono:

“Voi, che desiderate i premii dela celeste vita, correte, e qui portate le caste preghiere, perché questa porta apre il camin del cielo. Quivi Iddio si rende pietoso alli voti et alle lachrime di coloro che ’l pregano; il quale, per lo martirio et oratione del beato Gennaro, col suo ciglio e favorevole aiuto purga Napoli tutta d’ogni commesso errore. Correte, percioché la regal porta del divino Regno pate violenza”.

Sopra l’altra porta, dala parte sinistra, è una simile tavola di marmo con la sotto scritta inscrittione:

Oliuerius Carrapha Epis. Hostien. S. R. E. Card. Neap. Diuo Ianuario Martiri, Pontificiq., Neapolitanorum Patrono Sarcophagum hoc dedicauit, Sacellumq. marmoribus miro opere construxit, ornauitq.; additis ei sacerdotibus, qui quotidie Deo sacrificent, [8v] quibus dotem perpetui prouentus constituit. Ius patronatus sacelli Gentilitium esse uoluit.
Imprimis Dei honorem, & laudem sanctorum quesiuit.
Fauete animis, & Auctori Deo preces fundite,
Ann. Sal. M. D. VI.
Hoc fac, & uiues.

[9r] Dechiaratione in volgare:

“Oliviero Carrafa vescovo ostiense, dela Santa Romana Chiesa cardinale napolitano, al santo martire et vescovo Gennaro, padrone di napolitani, dedicò questo sacro luogo, quale di marmo con opra maravegliosa edificò et ornò, destinandovi sacerdoti, i quali ogni giorno a Dio sacrifichino, ali quali constituì perpetuo censo, et volse che ’l iuspatronato di quello fusse della famiglia, et primo cercò l’honor de Dio et la lode de’ santi. Favorite l’opra con gl’animi, et a Dio autore del tutto spargete preghiere. L’anno della salute mille cinquecento et sei”.

La statera retta significa la giustitia, imperoché la statera appresso gl’antichi era misterio et segno di giustitia, sì come ne fa fede Pithagora in quel suo detto “stateram ne transilias”, che vuol dire “non far cosa alcuna fuor del dovere et giustitia”. Onde Solomone dice a ciaschun che giudica “tieni la statera retta”, cioè sii giusto. Vuol dunque dire il cardinale “hoc fac”, cioè “sii giusto appresso Dio e gli huomini”, “et vives”, “et così haverai la vita eterna”.

Nel detto Arcivescovato la religiosissima Duchessa d’Alba, già viceregina di questo Regno, have fatto edificare a’ tempi nostri una bellissima cappella nela torre comunemente detta del Thesoro, ove per lo passato se conservavano, et al presente si conservano assai più honoratamente et comodamente, molte reliquie, et principalmente le teste degli [9v] padroni di Napoli, coperte d’argento, et vi è ancho lo stupendo sangue del gloriosissimo martire et pontefice santo Gennaro, quale, incontrandosi ogn’anno (mirabil cosa) con la sua sacra testa, nel dì che i preti con le ghirlande in capo di frondi et fiori in processione universale per la città con molta riverenza l’accompagnano, il sangue durissimo, ala vista dela sua testa, se liquefa avante gl’occhi de tutti, qual è grandissimo miracolo, testimonio grande di nostra fede, perché lascia di sé più maraveglia al pensiero che al’humana bocca per posserne parlare. Et questo miracolo si fa il precedente sabato dela prima domenica del mese di maggio, atteso che dopo fu decollato detto glorioso santo appresso Pozzuolo circa mezzo miglio, ove al presente è una cappella sotto il suo titolo, essendo da una donna raccolto detto pretioso sangue, v’andò tutt’il clero di questa città in compagnia del vescovo il primo sabato di maggio, ove, havendono caldo, i preti per rinfrescarsi usorno dette ghirlande.

Pertanto continuamente in detto dì è portata detta testa d’esso glorioso martire con sollennità ciaschun anno ad un seggio, quali, essendono cinque, al sesto anno dapoi ancho nela piazza populare, et così continuamente si fa un bellissimo apparato; et quando alcuna volta non se liquefacesse (che rarissime volte accade), in quel’anno gl’antichi haveano sospetto d’alcuno caso sinistro, come sono guerre, pesti o simili, et oggi ancor temeno così li moderni.

Le teste coverte d’argento deli padroni di napolitani sono queste, videlicet: la testa sopra narrata del santissimo martire et pontefice Gennaro, che fu vescovo di Benevento; la testa di santo Aspren pontefice, qual fu il primo vescovo di questa città, convertito dal primo papa santo Pietro apostolo; la testa di santo Severo pontefice; la testa de sant’Agrippino pontefice; la testa de sant’Eufemio pontefice; la testa [10r] di sant’Athenasio pontefice, quali tutte sono teste sei; et lo settimo padrone et protettore nostro è sant’Anello abbate. E quando nelle processioni si portano le sopra narrate teste sei, vi è ancho portato detto sant’Anello abbate di stucco, vestito del’ordine di san Bernardo di Claravalle, perché la sua testa non è stata mai separata dal corpo, qual si conserva nela chiesa di sant’Anello, como al suo luogho dirremo. Et così sono portati nele processioni, cioè detto sant’Anello abbate, come di sopra ho detto, et li sopra nominati pontefici, con pioviali et mitre de imborcati et tele d’oro e d’argento, como chiaramente son viste in dette processioni.

Il corpo d’esso glorioso santo Gennaro si conserva nel maggior altare di quel sontuoso edificio, qual di sopra nominato havemo, edificato dal cardinale Oliviero napolitano, ove giace ancho il corpo di san Mariano martire. Et il corpo di sant’Aspren, che fu lo primo vescovo di questa città, com’habiamo detto, è nella cappella sotto il titulo del detto Sant’Aspren, qual cappella sta dala parte destra quando si va all’altare maggiore del detto Arcivescovato. Et il corpo di sant’Agrippino pontefice è riposto nel detto altare maggiore, ove ancho sono li corpi di sant’Euticeto et sant’Acutio, discepoli di san Gennaro. Et nella cappella sotto il titulo del Salvatore, che sta dala parte sinistra quando si va alla cappella maggiore, è il corpo di sant’Athanasio pontefice et confessore. Li altri padroni di Napoli sono riposti et conservati in diverse chiese di questa città, come al scriver di quelle faremo mentione.

Per la chiesa dell’Arcivescovato s’entra in un’altra chiesa più piccola sotto il titulo di Santa Restituta vergine, la quale visse santamente al tempo di Costantino imperatore, dove la sacra compagnia degli canonici canta l’ordinarie hore in honore de Dio, quali canonici vanno vestiti adesso a guisa degli canonici di San Pietro di Roma, secondo l’ordine havuto da papa Paolo, terzo [10v] di tal nome, quale appare scolpito in un quadro di marmo, che l’hanno fatto fabricare al muro del choro di detta chiesa di Santa Restituta. Quivi si vede depinta la santa imagine dela Madonna, d’una antiqua et maravigliosa pittura musaica, sotto titulo di Santa Maria del Principio, opra di santo Luca evangelista. Ove, quando vennero in Napoli l’imperatore Constantino et papa Silvestro, che fu dopo la morte de Christo anni cento quarantatré, detto papa Silvestro celebrò molte volte in conspetto di detto imperatore Constantino, ad instantia del quale ordinò all’hora quattordeci canonici, et vi donò la dignità del cimiliarcha, quale è vocabolo greco che vuol dire in latino “princeps cinerum et sacrorum”, qual dignità si ritrovava in tutte le chiese greche, ma in Italia, anci in tutta la christianità (secondo scrive in Le croniche Giovan Villani), solamente è detto officio in Napoli et in Milano. Et detta chiesa di Santa Restituta era primo vescovato avante che fusse edificato l’Arcivescovato dal re Carlo Primo; et nela detta chiesa, sotto l’altare dela cappella maggiore, è il corpo di essa santa Restituta, et dietro detto altare maggiore vi è una cassa tutta piena di diverse reliquie, fabricata nel detto muro per li canonici antipassati.

Fece ancho in quel tempo lo detto imperatore Costantino edificare sei chiese in Napoli, quali foro queste: Santa Maria a Porta Nova, Santo Gennarello ad Diaconiam, Santo Giorgio ad Forum, Sant’Andrea Apostolo a Nido, Santa Maria Rotonda; et Santo Giovanne Maggiore è l’ultima, quale lo Pontano solo dice essere stata fatta d’Adriano imperatore. Et detto Costantino imperatore dotò dette sei chiese de ricche rendite, nele quali si celebravano l’uffitii divini ad uso de’ greci; et qualsivoglia di dette sei chiese nel Sabbato Santo di ciaschun anno mandava uno primacerio a cantare una lettione in lingua greca nell’Arcivescovato, et [11r] nelo dì della Resurrettione del Signore assistevano detti sei primicerii col cimiliarcha, et cantavano lo Credo in idioma greco. Al presente è cimiliarcha lo magnifico et reverendo Oratio Bozzuto, nobile del seggio di Capuana.

Dopo furno tolte tali consuetudini di celebrare l’uffitii greci in dette chiese, et così non sono andati più detti primicerii a cantare dette lettioni et lo Credo ad uso de’ greci, benché sia rimasta questa dignità ad alcune di dette chiese, como trattando de loro se dirrà. È rimasta anchora al detto Arcivescovato la detta dignità de cimiliarcha, qual al presente è stato per decreto dechiarato capo deli edomadarii, et nelli esequii, quando quelli escono, esso anchor escie precedendo tutti.

Poi che il detto re Carlo Primo fece dalli fundamenti edificare lo novo Arcivescovato2 (atteso che prima era la detta chiesa di Santa Restituta, como di sopra ho detto), vi fe’ concedere da papa Martino, quarto di tal nome, altri canonici vintisei, che ascendessero a complire il numero di quaranta, oltra de’ quali vi sono al presente edomadarii vintidui et preti ordinarii con cappellani trenta quattro, et diaconi quattro, i quali in tutto compleno il numero di cento, oltra d’altri cappellani estraordinarii che vi sono. L’intrate del’arcivescovo (qual è oggi l’illustrissimo et reverendissimo Alfonso Carrafa napolitano, nepote dela felice memoria de papa Paulo Carrafa, quarto di tal nome), con l’intrate de’ canonici, edomadarii, preti e cappellani, passano la summa de ducati otto milia.

Sopra la tribuna dela cappella maggiore sono tre sepolcri di marmo: nell’uno giace il corpo del detto re Carlo Primo, qual passò da questa vita nela città di Foggia, nela provintia di Puglia, e dopo fu portato nela città di Napoli, come di sopra ho narrato; nel’altro è il corpo dela regina Condania Berlingeri, sua consorte; nel terzo è posto uno fi[11v]glio del detto re Carlo, et a nessuno deli sopranominati sepolcri è inscrittione alcuna. Avanti la porta dela sacrestia vi è un grande sepolcro di fabrica con certo lavoro ala musaica, nel qual è il corpo di papa Innocentio, quarto di tal nome, dela nobilissima famiglia de Fiesco di patria genovese, che venne in Napoli nel’anno del Signore mille ducento cinquantatré e, gionto che fu in Napoli, in poco tempo s’infirmò, et morì nel giorno di santa Lucia. Anchor se dice che nela cappella piccola sotto nome di Santo Luigi*1162], qual sta avanti la porta piccola del detto Arcivescovato quando si va nel Palazzo, è il corpo del re Andrea ungaro, qual communemente dal volgo è chiamato re Andreasso, et dicono fusse stato suffocato nela città d’Aversa per ordine dela regina Giovanna sua moglie.

Nel detto Arcivescovato è una cappella della nobile famiglia di Minutoli del seggio di Capuana, ove è posto un bel sepolcro di marmo del cardinal Minutolo, senza alcuno epitaphio, che morì (sì come dicono) essendo legato in Bologna, ove rendendo l’anima a Dio, ivi rimase il suo corpo. Dalla destra parte del detto sepolcro vi è un altro sepolcro di marmo, però non così superbo, nel quale giace il corpo del’Arcivescovo di Salerno con li sotto scritti versi scolpiti per epitaphio:

Hoc iacet in tumulo dominus Minutulus Vrsus,
Pontificalis apex, qui præfert linea rursus.
Virtutum uitis Philippi uera propago,
Pontificum gemma omnis probitatis imago.
Parthenopes natum, Salernum pontificatum,
Flentq. tale datum moritur super omnia gratum.
Parthenopeq. tibi Salernum præsulis huius
Commendat corpus, animam Deus accipe cultus.

[12r] Quali versi in volgare questo vogliono dire:

“Orso Minutolo posa in questa tomba, che in pontifical dignità prepose a sé l’ordine di tutte le virtù, vera propagine de Felippo, gemma fra li pontefici et imagine d’ogni bontà. Questo, a loro dato, piange Napoli per lo nascimento et Salerno per lo pontificato; morì gratiosamente. Ad te Napoli lo corpo di questo suo vescovo raccomanda Salerno, e l’anima tu, Dio, raccogli nel cielo”.

Nel’altro sepolcro di marmo a man sinistra sono scolpiti li sotto scritti versi per epitaphio:

Magnanimus, Constans, Prudens, famaq. serenus,
Philippus præsul, morum dulcedine plenus;
Minutulus, patriæ decus, & flos, alta propago,
Hìc silet, hìc tegitur, iacet hìc probitatis imago.

Che nel volgare dicono:

“Qui tace, qui si cuopre et qua giace il ritratto dela bontà, il magnanimo, constante, prudente e chiaro per fama prelato Felippo Minutolo, pieno de dolci costumi, honor di sua patria, fiore et alta propagine”.

L’Arcivescovo di Salerno sopra nominato dela famiglia di Minutoli edificò la porta grande di marmo del detto Arcivescovato di Napoli, qual è bella e mirabile, con l’altre due piccole, cioè una dala parte destra et l’altra dala parte sinistra, che pare maravigliosa opra, percioché comunemente dicono detta porta grande essere d’uno solo pezzo; ma, come se sia, è opra molto gentile e leggiadra; e l’insegne di detti Minutoli, che stanno scolpite sopra dette porte, fanno fede delle cose predette.

[12v] Nella cappella della honoratissima famiglia de’ Carboni, nobili di detto seggio di Capuana, è un bel sepolcro di marmo, nel quale è posto il corpo del cardinale Carbone, et vi sono scolpiti li sottoscritti versi per epitaphio:

Clarus in excelsa Carbonum Parthenopea
Ingenua tellure satus de stirpe, columnas
Inter Apostolicas uelut igne micantius astrum;
Cardineiq. chori lux gloria, spes quoque multis.
Cui Sabinensis apex, titulumq. Susanna dedère.
Crimina qui lauacro laxabat cuncta secundo;
Et pius in cunctis solersq. ad mistica rebus.
Consilij probitate nitens, duxq. ordinis alti.
Corpore marmorea iacet hac Franciscus in arca;
Letus in etherea plaudit sed spiritus aula.
Anno Milleno Domini quinto quatriceno,
Octaua uerum ipse die Iunij requieuit.

Quali in volgare dicono in questo modo:

“Francisco, nato nela chiara città partenopea dell’eccelsa stirpe di Carboni, quasi una stella più lucida del fuoco fra l’apostolice colonne, luce, gloria e speranza de molti, a cui Sabino diede il vescovato et Susanna il titulo – cioè fu vescovo sabinense e cardinale di Santa Susanna –, il quale col secundo bagno relassava tutti li peccati – cioè con la penitentia, perché fu penitentiario maggiore –, in tutte le cose pio e prudente, in trattare le cose sacre lucido per la bontà del suo consiglio, duce del’ordine alto – cioè di cardinali –, giace col corpo in questo marmo, ma lo spirito lieto gode nel cielo. Riposò nel’anno mille quatrocento e cinque, l’ottavo giorno del mese di giugno”.

[13r] Nella detta cappella ove sta lo sopra narrato cardinale Carbone si conservano le sottoscritte reliquie, cioè quella parte dela carne di santo Giovanne Baptista quale manca ala sua faccie, che si conserva in la chiesa di Santo Silvestro in Roma, et più vi è lo dito di santa Lucia martire e vergine.

Nella cappella dell’antica famiglia de’ Crispani, pure de’ nobili del seggio di Capuana, è un sepolcro di marmo, sopra del quale si vede una tavola di marmo, ove sono scolpiti li sottoscritti versi per epitaphio:

Candida sindere sis redimitus tempora sertis,
Landulfus Crispanus adest in lege canorus.
Doctor erat, Miles armatus, florida lingua,
Temperiesq. uiri comitis coniunxerat astris.
Regia grandeuiq. insignia nobilis Aulæ,
Fulgidus inq. foro dispuntis calculis ingens;
Virq. Deo Mundoq. bonus super alta leuatus.
Compositus factis clarus sapientia cunctis
Exaltata uijs serpit, leuiterq. susurro.
Concilium Regni fuit hic perdoctus Apollo;
At quoque Magdalenes deuotè facta canebat.
Vrbanus nouit prudentem Papa sororum.
Limatasq. uias super ethera remq. locabat;
Fortunamq. suam placidis stringebat habenis.
Magnaq. iam mortis immitis uincula spernens
Inquit in extremis, Ignitur fulgida uirtus
Dulcis morte uiri, tandem pax flangitur omnis,
Occidit infelix Regni status, atq. pependit.
Vertilis ex centum, ter Milleq. circulus annis
[13v] Septuaginta simul pariter mixtisq. duobus
Fluxerat, ingenti solio Regnante Ioanna
Insita bis denis sat tertia fluxerat ardens
Augustiq. dies; undenos pectine denso
Voluerat in texens Inditio circiter annos.

Quali versi risonano così in lingua volgare:

“Qui giace Landulfo Crispano, con le tempie ornate di stellate ghirlande. Costui era dottor facondo e cavalier armato, la cui fiorita lingua, l’affabilità di questo conte già vecchio, havea congionto alle stelle l’insegne regali della nobil corte. Fu grande e splendido nelle cause giuditiali; superata ogni difficultà di legge, fu alzato al cielo essendo stato huomo bono, et a Dio et al mondo.

Fu huomo moderato, chiaro per li gran fatti, la cui sapientia, esaltata, humile caminava per ogni via.

Costui, con leggier mormorio, era reputato un altro Apollo instrutto del consiglio del Regno, et divotamente già componeva la vita et gesti di Magdalena. Papa Urbano lo conobbe dotto delle Muse; et non solo le sue poesie, ma la robba, col farne bene ad altri, locava nel cielo, et la sua felicità la moderava con facili redeni, e despregiando i gran legami del’aspra morte disse:

«Nel’estremo s’nfiamma la splendida virtù». Finalmente ogni dolce pace si frange nella morte di tant’huomo; lo felice stato del Regno cascò et restò sospeso. Haveva all’hora voltato il cerchio degli anni mille trecento settanta dui, essendo Giovanna regina del Regno, et fu nel giorno assai ardente d’augusto vinte tre, nel’anno della indittione circa undecima”.

Nela cappella del’illustre famiglia de’ Caraccioli, pur nobili del prefato seggio di Capuana, qual cappella è sotto il titulo di Santa Maria dela Nova3, vi sono dui sepolcri di marmo; nel’uno sono scolpiti questi versi per [14r] epitaphio:

Conditur hoc pulchro generosus ualdè sepulcro
Cobellus nimio plenus, & eloquio;
Atq. Deo letus, sanctis dictisq. repletus;
Hieronymi dona laudum, habuitq. bona.
Hic fuit orator & uirgo, pacis amator.
Francisci Dalphinæ natus, ad bona cuncta datus,
Cultor honestatis Caracciolus, & probitatis.
Magnus homo, iuuenes hic peramansq. senes.
Sub tricentenis decem bis, ter, Milleq. senis
Annis hic obijt, & Deus hunc uoluit.

Quali in volgare sermone così risonano:

“Si riserba in questo bel sepolcro lo assai generoso et eloquente Cobello Caracciolo, grato a Dio, pieno di sante parole, il quale hebbe li belli doni di laude di Girolamo, perché fu oratore, vergine, amator di pace. Nacque di Francesco e di Dalfina, dato ad ogni bene. Amator di honestà e di bontà. Questo grande huomo amò tutti, giovani e vecchi. Lo volse Iddio a sé, e perciò morì nel’anno mille e trecento vinti tre”.

Nela medesma cappella, ad un altro sepolcro, si legge questo distico:

Qui latet hoc tumulo Paradisi luce fruatur,
Sitq. sibi requies, & sine nocte dies.
Dominus Mattheus Caracciolus Prothonotarius sanctitatis Do-
mini Papæ, qui obijt Anno Domini. M.CCC.XIIII.
Die. XXVI. Mensis Maij. xij. Ind.

Che vuol dire in lingua volgare:

“Quello, ch’è rinchiuso in questo sepolcro, goda la luce del Paradiso: sia ad esso riposo e giorno senza notte.

Matteo Caracciolo protonotario dela santità del papa, qual mo[14v]rì agli anni del Signore mille trecento quattordici, a’ giorni vintisei del mese di maggio della duodecima indittione”.

Nela cappella dela nobil famiglia de’ Sconditi, anchor essi del detto seggio di Capuana, è una sepoltura di marmo al piano, con una tavola di marmo posta nel muro ove è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Vittoriæ Capiciæ uxori integerrimæ.
Nè quos singularis amor &
Mirabilis concordia coniunxit,
Vel Mors ipsa diuideret tumulo;
Hìc coniugis cineres expectant uiri.
Iulius Cesar Sconditus pos.

Che questo dice in lingua volgare:

“A Vittoria Capece, moglie d’ogni integrità, a ciò quelli, li quali un amor singular con concordia mirabile congiunse, niuna cosa, né etiamdio la morte, habbia a dividere dalla sepoltura. Qui le cenere dela moglie aspettano quelle del marito. Giulio Cesare Scondito l’have edificato”.

Nela porta piccola del detto Arcivescovato, per andar al Palazzo, è una sepoltura di marmo al piano con li sottoscritti versi per epitaphio:

Si dolor est cui carus obit, uirq. optimus idem
Omnibus, & qui plus millibus unus amet,
Is meus est, mihi dum genitor dulcissimus, heu, heu,
Antiquæ exemplar simplicitatis obit.
Eternum cineres patris, heu heu, manesq. ualete,
Linquor ego, at uobis parta perenne quies.
Francisco Vopisco uita defuncto ottogenario,
Anno salutis christiane M.D.

[15r] Quali nel comun parlare dicono:

“Si dolor ha colui che per morte perde huomo caro a sé et da tutti ottimo riputato, et ch’avanza solo in amore tutti gli altri huomini del mondo, io ho tal dolore, morendomi (oimé) il dulcissimo padre, essempio vero della bontà antica. Restate in pace eternamente, voi ceneri de mio padre, et voi (oimé) spirti! Io rimango solo, ma voi havete fatto acquisto d’una summa quiete.

A Francisco Vopisco, passato di questa vita de anni ottanta, nel’anno dela christiana salute mille e cinquecento”.

Nella cappella del famoso Bartolomeo Di Capua nobile napolitano, qual fu lo più dotto et famoso dottore de quanti erano a suo tempo, che sta al’uscir del choro dala parte destra, ornata da tre parti di cancelli di ferro, dentro è un sepolcro di marmo, con questo giuditioso epitaphio:

Ianua legum uitaq. Regum,
Mors retrudit, terit omnia
Sunt quasi somnia, cuncta recludit.
Summus & Atleta Regni iacet
Hic logotheta, Prothonotarius,
Auxiliarius utq. Propheta,
Annis sub Mille trecentis, bis & otto,
Quem Capiat Deus.
Obijt benè BARTOLOMEVS.

[15v] Quale, al meglio s’è possuto, è in questo modo dechiarato:

“Perché la morte discuopre, consuma e ruina il tutto, percioché tutte le cose son come sonno, per questo delle leggi la porta et delli regi la vita, e grande offitial del Regno, rationale e protonotario, agiutator et utile como profeta, qui giace. Nell’anno mille trecento e sedici Bartolomeo, qual Iddio accolga, felicemente morì”.

Fuora dela porta maggiore del detto Arcivescovato stava un gran cavallo di bronzo, qual sidiceva a quel tempo essere stato fatto da quel gran poeta Virgilio mantoano sotto costellationi distelle, ove portandosi i cavalli aggravati di qualsivoglia infirmità, si guarivano. Ma i vescovi, religiosi con li napolitani, per levare questa superstitione, lo tolsero nell’anno del Signore mille trecento vinte dui et ne fecero fare una gran campana per detto Arcivescovato, qual hoggi si suona nelle festività, e particularmente con quella s’invitano le persone alla predica. E per questa causa vogliono alcuni ch’il seggio di Capuana faccia per impresa un cavallo col freno senza redine, a qual modo era quel di bronzo, e, come dice il Colennuccio al quarto libro dell’Historie del Regno, Corrado figlio di Federico Secondo li fe’ ponere le redine, ma questo non è al nostro proposito.

Appresso diremo delle quattro principali chiese soggette all’Arcivescovato, communemente nominate con nome greco parrocchie quali, sempre che l’arcivescovo o lo suo vicario con la sua croce va per la [16r] città in processione, escono dette quattro parrocchie con croci d’argento in sua compagnia, e così mai escono meno di queste cinque croci, cioè una del’Arcivescovato et quattro delle dette parrocchie.

Santa Maria de Porta Nova è una chiesa delle quattro parrocchie grandi, così detta, qual è situata prossima ad uno dei seggi di nobili di questa città, detto di Porta Nova. L’abbate della detta chiesa da un tempo in qua è ordinariamente l’abbate che si ritrova del monasterio di Santo Pietro ad Ara, che vi sono li canonici regolari di santo Augustino. Alla qual chiesa di Santa Maria serveno negli divini uffitii al presente preti et diaconi al numero de decedotto, quali sono: uno primicerio, tre edomadarii, diece preti et quattro diaconi; et have d’intrata da circa ducati settecento. Lo sopra nominato abbate è tenuto celebrare una messa cantata nel giorno dell’Assuntione dela Madonna, alli quindici del mese d’agosto, nell’altare maggiore di detta chiesa, allo qual altare è conservato lo corpo di santo Stasio confessore.

Nella detta chiesa è posta una cappella appresso l’altare maggiore, dala parte destra quando si entra, ove è un sepolcro di marmo di sopra l’altare di detta cappella, nel quale giace il corpo d’un cardinale dela nobile famiglia D’Anna, nobili del detto seggio di Porta Nova, nel quale sepolcro si vede sculpito lo sottoscritto epitaphio:

Hoc iacet in tumulo sacri de cardine cetus
Laudensis dictus senio Pater optimus; isti
Anna fuit generosa domus; sed amabile nomen
Angelus, Angelicam pia mens reuolauit in aulam.
Milleno quatriceno bis denis, ottauoq. iunctis
Currebat Christi, mensis quoque Iulius anni.

[16v] Quali al nostro idioma sonano:

“Giace in questo sepolcro un ottimo padre vecchio, tra la sacra compagnia de’ cardinali detto Laudense, qual fu dela generosa famiglia D’Anna. Lo suo amabile nome fu Angelo, la sua pietos’anima volò nella stanza degl’angeli nel tempo che correa l’anno di Christo mille quattrocento vinte otto, nel mese dedicato a Giulio”.

Nel’intrare della porta maggiore di detta chiesa, dala parte sinistra è posta una cappella dell’honoratissima famiglia di Mormili, nobili del detto seggio di Porta Nuova, nela quale è un sepolcro di marmo ove è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Fui, non sum; estis, non eritis; nemo immortalis.
Somno, & securitati eternæ.
Carolo Mormili Patri Opt.
Troianus, & Herricus filij uirtutis, & amoris causa.

Che nel volgare dicono:

“Fui, non sono; sète, non sarete; niuno è immortale. Al sonno et perpetua securità.
A Carlo Mormile padre ottimo, Troiano et Herrico figli, per causa delle virtù et dell’amore”.

[17r] Nella medesma cappella è una sepoltura di marmo al piano con questo pietoso epitaphio:

Quàm preposterè res sese humanæ habent;
Cuius mihi dulcissimas manus oculos prius
Claudere fas fuit; infeliciss. Parens filium
Hìc antè condidi meum. Ademit importuna
Mors seni baculum, cui defessa iam adnitens
Aetas, annos alleuaret suos, nunc antè me
Mors assequetur, quàm hæ lachrimæ deserant.
Carolus Mormilus Ioanni. F. B. M. Pos.
Vixit An. XXVII. M. I. D. VII.
M. CCCC. LXXXIII.

Così nel nostro idioma dicono:

“Quanto le cose humane vann’al contrario, ché come dovevano le dulcissime mani del mio figlio primo a me chiudere gli occhi, io padre infelicissimo qui prima esso sotterrai. Morte importuna alvecchio ha tolto il bastone, dove ppoggiandosi hormai la stanca etade, li soi anni alleviasse; adesso primo la morte m’aggiungerà che queste lachrime m’abbandonino.

[17v] Carlo Mormile a Giovanni figlio benemerito posse. Visse anni vintesette, mese uno e giornisette. Nel’anno mille quattrocento ottanta tre”.

Anticamente appresso detta chiesa (secondo scrive Giovan Villani) habitavano certi populi detticimmerii, quali erano prossimi a Pezzuolo; e per detta causa fin al mio tempo la nominavano Santa Maria a Cimmino, et alcuni altri dicevano Santa Maria a Cuimino, benché, quando vi se celebrava l’uffitio in idioma greco, nominavano Santa Maria in Cosmodin, parola greca che in nostro volgare vuol dire Santa Maria degli Ornamenti; il che forse non è da reprobare, poiché siamo certi che fusse edificata detta chiesa da’ greci, e ch’in essa greci grecamente celebravano.

[17v]

Santo Giorgio ad Forum è una chiesa delle quattro parrocchie grandi; è situata nella strada per la quale si va dalla porta della città nominata Nolana al Seggio de Nido, e sta a man sinistra; e dal’altra parte è situata nel’apennino detto di Santo Giorgio, pigliand’il nome da detta chiesa, ove sta il palazzo dell’honorata famiglia de’ Cuomi. Quale chiesa fu edificata per ordine dell’imperatore Costantino; dopo fu ingrandita per santo Severo, pontefice e protettore di questa città. Nel’altare maggiore di questa chiesa è conservato il corpo del detto glorioso santo Severo. Nella quale chiesa al presente ufficiano preti e diaconi decedotto, che sono: uno primicerio, sei edomadarii, et sette altri preti nominati confrati, et quattro diaconi. L’abbate della quale è al presente l’illu[18r]stre e reverendo Carlo Carrafa napolitano. E perché oltre del’abbate vi è l’estaurita insieme, che è un governo di laici, quali hanno particulare pensiero di detta chiesa, per questo dico che tanto l’intrate del detto abbate quanto quelle de detta estaurita sono in tutto da circa ducati novecento.

All’intrare dietro della cappella maggiore è posto un sepolcro di fabrica con certe colonnette di marmo, dala parte destra quando s’entra, ove è il corpo di Roberto Guiscardo prencipe di Taranto, nepote del re Carlo detto il Semplice, al quale Roberto spettava il Regno di Costantinopoli, sì come scrive il Colenuccio; et sopra del sopradetto sepolcro vi è un epitaphio in un quadro di marmo. Qual Roberto passò di questa vita nell’anno del Signore mille trecento sessanta quattro, et lasciò molto bene a detta chiesa.

Nella detta chiesa, in la cappella della famiglia di Monti, cittadini di questa città, vi sono dui sepolcri di marmo; nel’uno è posto il corpo d’un figliolo de circa anni tre, et vi è scolpita la sotto scritta iscrittione, qual fu composta per lo famoso Pietro di Gravina, nostro napolitano, per epitaphio:

Orbitatis miseræ miserere hospes.
Vnica parentum spes, unica lux, egregia
Forma, rara indole, Puer triennio uix
Exacto hìc è suorum complexu raptus
Clauditur. En rerum humanarum conditio;
Ioanni Baptistæ Montio, Parentes mestiss.
Anno. M. D. XV.

[18v]

Che nel volgare risona:

“Habbi pietà, tu che legi, dell’orbità degna di misericordia! La unica speranza del padre e della madre, la unica luce d’egregia bellezza, di rara aspettatione, un figliuolo ch’appena havea complito lo terzo anno, qui, tolto dagli abbracciamenti de’ soi, è chiuso. Oh che conditione delle cose humane!
A Giovan Battista Monte gli mestissimi parenti l’anno mille cinquecento quindici”.

Nell’altro sepolcro, qual sta a man destra dell’altare, sono scolpiti gli sotto scritti pietosi versi, composti dal detto Pietro di Gravina, poeta celebrato, per epitaphio:

Indulgens Natura fuit, Sors cruda Puellæ,
Quæ iacet hìc, primo rapta puerperio.
Et decor, & lepidi mores, & dulcia linguæ
Flumina, & ætatis flos, pietatis amor,
Decretum duri nequierunt uincere Fati;
Antè diem bona tot sustulit una dies.
Talis ad Elisios abijt Catherina recessus
Lucifer ut uisus nube adopertus abit.
Perpetuas liquit lachrimas utriq. Parenti,
Perpetuò extinctam sexus uterq. dolet.

[19r]

Quali versi, al mio giuditio, sono pietosissimi, et nel volgar idioma dicono questo:

“A questa giovane, la qual qui riposa, tolta nel suo primo parto, come li fu benigna la natura, così li fu crudele la sorte, poiché né la bellezza, né i leggiadri costumi, né l’eloquenza dela lingua, né il fior del’età o l’amor dela pietà poterno vincere l’empio decreto del Fato; ma un giorno avanti tempo ne tolse tanti beni, et Caterina, che fu il suo nome, tale andò negli Campi Elisii, che Lucifero, stella coperta di nube, parse partirsi da noi. Lasciò a’ suoi padre et madre perpetue lachrime, poiché perpetuamente l’uno e l’altro sesso si duole ch’ella sia spenta”

[24r]

Santo Gennarello è una chiesa dele sei edificate per ordine del’imperatore Costantino; è una dele parrocchie ventidue dela città. È situata nella strada per la qual si va a Santo Lorenzo, a man destra, posta prossima al palazzo del’illustre Conte d’Altavilla e dirimpetto lo palazzo del magnifico Marino Freccia. Al presente è l’abbate lo reverendo donno Antonio d’Amabile, n’ha lo ius presentandi la venerabile chiesa et hospidale del’Annunciata di Napoli. Detto donno Antonio d’Amabile, come abbate, tiene ordine di farci celebrare et ministrare li santi sacramenti a quelli del tenimento; et vi sono quindici preti confrati con uno primicerio, quali ser[24v]veno per accompagnare i morti di detto tenimento dela parrocchia.

Nela detta chiesa vi è un sepolcro di marmo che vi è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Quis sim habe; Laurentius Cadamostus ex Lauda
Ex Francisci de Capua
Altauillæ Comitis contubernio,
Sub quo mores hauribam, in cohortem
Ferd. Regis custodum acceptus,
Vndè me rapuit mors.
Bartholomeus Comitis filius,
Nè Manes oberrent, offitiosè mihi
Sepulcrum Curauit.
M. CCCC.LXXXIX.

Ch’in volgar questo sonano:

“Intendi chi io sia: Laurenzo Cadamosto di Lauda; dala compagnia di Francesco Di Capua conte d’Altavilla, sotto il quale imparava costumi, ricevuto nella compagnia della guardia di re Ferrante, da dove la morte me rapì. Bartholomeo figlio del conte, accioché non andassero vagabunde l’ombre mie, curò di farme questo sepolcro”

Santa Maria Rotonda, sita nel seggio de Nido, è una cappella vera tonda, che vi sono sei colonne grossissime di granito in color di por[25r]fido; è una delle parrocchie ventidue dela città, et è chiesa antica, come adietro ho detto, che fu una dele sei chiese edificate per ordine dell’imperatore Costantino. Nel presente è abbate lo reverendo Giovanni Antonio Valva, qual tene cura di farci celebrare et distribuire li santi sacramenti a quelli del tenimento dela parrocchia; et vi sono confrati preti sedici, quali accompagnano li morti di detto tenimento. L’intrata di detta cappella, inclusive con la cappella di Santo Pietro, ala qual s’entra per detta Santa Maria Ritonda e risponde con una porta di fronte del Largo di Santo Dominico, sono circa ducati ducento.

Santo Silvestro è una cappella posta sopra lo palazzo del’illustrissimo Principe di Stigliano. È una delle parrocchie ventidue dela città, sta ne’ tenimenti del seggio di Nido, è annessa con lo Capitolo di Napoli, quale la regge et tiene pensiero farvi celebrare messa e dare li santi sacramenti a quelli del tenimento dela parrocchia; tene d’intrata circa ducati cento sessanta.

[27r]

Santo Giovanni et Paulo è una povera chiesa antica et quasi ruinata, sotto lo titulo di detti santi, quale sta sopra lo collegio novamente edificato per li essemplari padri del Giesù; et detta chiesa, avante che venesse in Napoli Costantino imperatore, fu edificata. L’altare maggiore con dui altri altari, l’uno a man destra, l’altro a man sinistra, sono fatti all’antica, voltati al’oriente, onde la faccia del sacerdote, dicendo la messa, vene ad stare volta al popolo, che non bisogna voltarsi per dire “Dominus vobiscum”, overo “Orate fratres”, né per dare la benedittione e dire “Ite, missa est”; ma, a dire il vero, detta povera chiesa have tanto poco intrata ch’a pena vi può stare un prete per celebrar la messa.

Avante l’altar maggior è un quadro di marmo ove si legge la sottoscritta inscrittione scolpita in lettere greche:

Τεοδορος Υπατος Και δους απο θεμελιων τον ναον οικοδαμης Ας και την διακονίαν εκ νεας ανυς ας ενινθτεταρτι της βασιλείας Ασοντος και Κοταντινου τον θεοφίλων και τον βασιλεων σεμνως βιώσας εν τεπις και τροπως εκτωμενρε Οττουβρίου ενφαθές σηας Χρισω ετμιη ηαυμ.

Che in latino vuol dire questo:

“Theodorus consul et dux, a fundamentis hoc templum ædificans et hoc sacrum ministerium ex novo perficiens, indi. quartæ huius regni, Asontis et Costantini Dei amatorum et regum, honeste vivens [27v] in qua fide et conversione, sexto mensis Octobris, hic vivens Christo annos novem et quadraginta”

Che dice questo in volgar sermone:

“Theodoro consule e duca edificò questo tempio dagli fundamenti, e di nuovo posse a perfettione questo sacro ministerio nella quarta indittione di questo Regno, al tempo di Assonto e Costantino amatori de Dio e degli re, honestamente vivendo nella fede e nela sua conversione, a’ sei del mese d’ottobre, vivendo qua a Christo anni quaranta nove”

[31v]

Santo Andrea Apostolo è una chiesa posta appresso nel Seggio di Nido, ne è abbate al presente l’illustre et reverendo Francesco Carrafa, ci è da circa ducati quattrocento d’intrata. Quale chiesa è fundata a simiglianza delle chiese di Roma, con sopportichi et con colonne di marmi dentro e fuora di detta chiesa, nella quale è un sepolcro di marmi antico, che la fattura d’esso dimostra l’antiquità.

Vi sono li sotto scritti versi scolpiti per [32r] epitaphio:

Mors quæ perpetuò cunctos absorbet hiatu,
Parcere dum nescit, sepius ipsa fabet
Felix, qui affectus potuit demictere tutos,
Mortalem moriens, non timet ille uiam.
Candida præsenti tegitur matrona sepulcro
Moribus, ingenio, & grauitate nitens;
Cui dulcis remanens coniux, natusq. superstes,
Ex fructu; Mater noscitur in subole.
Hoc precibus semper, lachrimosa hoc uoce petebat,
Cuius nunc meritum, uota secuta probant.
Quamuis cuncta domus, nunquàm te flere quiescat,
Felicem fateor, sic meruisse mori.
Hic requiescit in pace Candida GF quæ uixit plus. M. annis. L. DP. Die iiij. Sept. Imp. Dnn.
Mauritio pp. Aug. anno iiij PC. eiusdem annij Inditione iiij.

Dice in lingua volgare:

“La morte, la qual ingiottisce ogn’uno con una perpetua apertura di bocca, mentre che non sa perdonare, spesse fiate da poi favorisce. Felice colui è che può lasciar sicuri i suoi pensieri, perché morendo non have paura di quella mortal strada. Una matrona nominata Candida s’inserra nel presente sepolcro, la quale splendé di costumi, d’ingegno e di gravità, ala quale rimanendo dopo la morte il [32v] dolce consorte et un figliuolo, la madre si può conoscere dal frutto in tal successione.
Questo sempre dimandava con preghiere e con voce lachrimosa; e li voti, che già ottenne, approbano il merito di lei. Benché tutta la tua casa non mai cessi di piangerti, io te manifesto felice per haver meritato così degnamente morire.
Qui si riposa in pace Candida GF, la qual ha vissuto poco più o meno d’anni cinquanta. Deposta ali dece di settembre, regnante il signor Mauritio perpetuo augusto nel’anno quarto, dopo il pontificato del medesmo anno, nell’indittione quarta”.

Ho voluto dechiarare tutte le breviature fuorché la prima, atteso che pare dubia per essere il cognome del qual non s’ha alcuna certezza. Crederei che dicesse Carrafa, né m’è contrario che la prima litera sia “G”, non “C”, poiché sapemo molte famiglie variare in alcune lettere dele sue antiche; et haveranno possuto ad quel tempo dir Garrafa quel che noi adesso dicemo Carrafa. Dopo vedemo nel medesmo sepolcro variationi di lettere, atteso che nel secondo verso dice “fabet” quel che noi nel presente dicemo “favet”; et nel verso ottavo è scritto “subole” per “sobole”. Non è dunque da mirare se il “G” per “C” nel cognome variato fusse. Pur come se sia, lascio considerarlo al giuditio del savio lettore, così ancho se alcuno volesse esporla “Gnei filia”, cioè “figlia de Gneo”.

Lo sopra nominato Mauritio incominciò a regnare l’anno de Christo cinquecento settanta otto; onde correndo nel presente l’anno mille cinquecento sessanta, et essendo posto quel sepolcro al quarto anno del pontificato di detto Mauritio, sequita che habbi anni novecento ottanta dui, ch’è una bellissima antiquità.

[33r]

Nela detta chiesa solevano anticamente li studenti del Studio di Napoli andare in processione, con li lettori primi, la vigilia di sant’Andrea con torchi et candele, che ne havea una buona rendita la chiesa. Era già interlassato per molti anni; l’anno passato 1558 lo detto abbate l’ha fatto rinovare, havendo lui rinovata la consuetudine antica dala parte sua, ch’è mandar un quarto di porco a ciascun lettor del Studio, e poi, la settimana dela Purificatione, mandar una torcietta de libra una ali detti lettori. E per haver fatto questo, ci è concorso gran numero de studenti, quali comparsero assai honoratamente, che portorno più de libre cinquecento di cera nela detta chiesa come ho inteso dal magnifico Cola Anello Pacca, qual è uno de’ lettori del detto Studio. Et così è sequito l’anno prossimo passato mille cinquecento cinquanta nove.

Sant’Angelo nel seggio di Nido è una chiesa qual fu edificata per l’illustrissimo et reverendissimo Rainaldo Brancatio, cardinal de’ Santi Vito et Marcello, com’appare per li suoi privilegii nel’anni mille quattrocento; dopo morì nel’anno mille quattrocento et deceotto. Qual chiesa have d’intrata circa ducati mille e trecento, si governa per li nobili di detto seggio; nel presente vi teneno preti nove et diaconi quattro. Vi è un bello hospidale per li febricitanti; di certo si governa assai bene.

Dentro detta chiesa vi è un bello sepolcro di marmo, dove sta il mortale di detto cardinale senza alcun epitaphio.

Vi è ancho un altro sepolcro di marmo non tanto superbo, nel quale vi è scolpito lo sotto scritto [33v] epitaphio:

Petro Brancatio Fusci filio.
Hic bello Ferrariensi suscepta aduersum
Venetos expeditione.
Alfonsum Ducem Calabrie, cuius contubernalis
erat, secutus, Agro Brixiensi toto
fermè capto, dum Arx Montis clari oppugnatur,
colubrina ictus interijt. Corpus
Neapolim fratris opera relatum, & hìc
situm est. Marinus Brancatius, qui eo
in bello cum primis prefuit, Fratri obtem-
peratissimo, suaq. Familia, & patria
dignis moribus prædito, ac benemerenti,
faciundum curauit. Anno. M. CCCC.
LXXXIII.

Vol dire nel nostro idioma:

“A Pietro Brancatio, figlio di Fusco. Questo, nela guerra di Ferrara pigliata l’impresa contra’ venetiani, sequendo Alfonso duca di Calabria, del quale era familiare, tolto quasi tutto lo territorio di Brescia, mentre la fortellezza di Monte Chiaro si combatte, d’una columbrina ferito morì. Il corpo a Napoli per opera del frate è stato portato, e posto qui. Marino Brancatio, il quale in quella guerra fu de’ primi, al frate ottemperatissimo, e di costumi ala sua famiglia e patria degni ornato, e ben meritevole, fe’ fare questo sepolcro”

[34r]

Ove sta la sopra narrata chiesa di Sant’Angelo nel seggio di Nido, avante vi stava la porta dela città nominata Porta Ventosa. Et in quel tempo vi era una valle, la quale diparteva Palepoli, ch’era quella parte ove sta hora il seggio dela Montagna, da Napoli, che si stendeva fino ala Porta del’Appenino dove sta Santo Augustino. Dice Livio ch’erano due città et uno populo; dopo per la bontà e bellezza del territorio ci vennero ad habitare nuove genti, e si edificò dal’Appenino in giù, fannosi quasi una nuova città. E per dette cause sempre è augumentata et ingrandita questa nostra patria di tempo in tempo.

Santa Maria de’ Pignatelli è una cappella sita dirimpetto del detto seggio di Nido. Non si può havere certezza del fundatore, però dapoi ne fu rettore seu abbate uno nomine Pietro Pignatello, qual morì nel’anno del Signore mille trecento quarant’otto (come appare nella sua sepoltura che sta nel mezzo di detta cappella con uno marmo lungo). Sempre dapoi l’hanno posseduta detti nobili dela famiglia de’ Pignatelli. Have d’intrata circa ducati trecento, vi tengono preti nove et diaconi quattro, e molto bene l’ufficiano con organo come si fusse chiesa grande; ov’è uno sepolcro di marmo vi è scolpito lo sottoscritto epitaphio:

D. M.
Carolo Pignatello equiti Neap. uirtutibus
Ornatissimo, Aetatis suæ annum quinqua-
[34v] simum quintum agenti, cum omni
beniuolentia, & admiratione, Annoq. Mil-
lesimo, quatricentesimo, septuagesimo
sexto salutis Christianæ defuncto.
Hettor Pignatellus Montis Leonis Burrelliq.
Comes filius pientissimus faciendum curauit.

In volgar sermone vol dire questo:

“A Dio massimo.
A Carlo Pignatello napolitano di virtù ornatissimo, menando l’anno dell’età sua cinquanta cinque con benivolenza et admiratione di tutti, et essendo morto nell’anno dela salute christiana mille quattrocento settanta sei, Hettore Pignatello conte di Montelione e di Borrello, figlio piissimo, fe’ fare questo sepolcro”.

[35r]

Santa Martha è una cappella grande posta di fronte lo campanile di Santa Chiara, dove officiano preti et diaconi sei, et si governa per mastria. Have d’intrata circa ducati ducento cinquanta, et dentro detta cappella vi sta organo. E li mastri con l’elemosine deli confrati in ciaschun anno maritano alcuna figliola; che certo è governata diligentemente.

Santa Maria dela Trinità è una cappella sita nella strada quando si va dala porta piccola di Santa Chiara verso Santa Maria Rotonda, e proprio dirimpetto lo palazzo del’illustrissimo Duca de Montelione. Have d’intrata circa ducati cento, è estaurita dela piazza, e vi fanno di continuo celebrare.

Santo Bartolomeo è una cappella posta sotto la strada dela sopra nominata cappella dela Trinità, e proprio sopra lo palazzo dela nobil famiglia di Pinelli. Have d’intrata circa ducati quindici et è iuspatronato dela illustre famiglia di Carrafi, la qual tiene pensiero [35v] farci celebrare.

Santa Caterina è una cappella posta di fronte la porta piccola di Santa Maria Ritonda; n’è abbate nel presente lo reverendissimo Vescovo di Crapi di natione spagnola, ne have d’intrata da circa ducati ducento, et lui vi fa fare lo sacrificio.

Santo Martinello dela Agiosa è una cappella qual sta a man destra di Santa Maria Ritonda. N’è abbate lo reverendo don Geronimo Lanta, ne ha d’intrata circa ducati quaranta, et tiene pensiero farvi celebrare.

Santo Pietro è una cappella qual è posta dalla parte di sopra di Santa Maria Ritonda, e proprio nel cantone che tene una porta al Largho di Santo Dominico e l’altra dentro detta Santa Maria Ritonda. Et come dissi di sopra, quando scrissi de Santa Maria Ritonda, n’è abbate lo reverendo Giovan Antonio Valva, qual tene d’intrata di detti doi benefitii circa ducati ducento.

Santo Nicola è una cappella sita nela Strada di Nido, e proprio nel cantone che sta nela crocevia quando si va nela Vicaria Vecchia, ove discende l’Apennino di Pestase. È estaurita dela piazza, et dicono ch’have d’intrata circa ducati trenta, e la piazza vi fa celebrare.

[36r]

Santo Biase è una cappella sita nel’Ulmo di Santo Laurenzo, e proprio a muro con la chiesa di Santo Gennarello, sopra nominato tra le parrocchie ventidue. Qual cappella si governa per mastria, et li mastri fanno molti beni a’ poveri, et fannovi di continuo celebrare messe, et nel giorno di santo Biase ci fanno una bella festività.

[39r]

Santo Donato è una cappella posta nel principio del’Appennino di Santo Marcellino, qual è annesso con detto Santo Marcellino dele Monache. Non si può sapere l’intrata a causa che l’abbatessa de detto monastero dispone del tutto in detta cappella, però non manca di farci fare il sacrificio.

[40v]

Santo Vito è una cappella posta quando si va dala sopra narrata cappella del Salvatore nela Giudeca, et quasi al’incontro di Santo Giovanne in Corte; è governata per mastria di certi figliuoli, et con l’elemosine che vi sono fatte vi fanno celebrare li giorni festivi, et in ciascun anno maritano una figliuola.

[44r]

Santo Biase è una cappella posta quando si camina dala sopra nominata cappella di Santo Vito verso il Seggio di Porta Nova, pur nela medesma Piazza dela Giudeca; have d’intrata circa ducati venti cinque, l’abbate è lo reverendo donno Antonio d’Ayello, qual tiene cura di farvi celebrare.

Santo Bonifatio Papa è una antica cappella posta un poco più avante dela sopradetta cappella di Sant’Angelo a man sinistra, et proprio dirimpetto lo monastero dela Egittiaca, et si governa per mastria; have d’intrata circa ducati cinquanta, de’ quali maritano una figliuola, et vi fanno celebrare li giorni festivi ad un prete, a cui ivi danno la stanza.

Santo Pietro a Festola è una cappella posta di sopra la Fontana di Serpi; ne è abbate lo magnifico e reverendo Francesco Sasso, ha d’intrata circa ducati dudici, e lui ci fa celebrare li dì festivi.

[44v]

Santo Vitale è una piccola et antica cappella posta di sopra la porta d’uno fundico appresso la sopradetta Fontana di Serpi, e detto fundico piglia lo nome da detta cappella, nominandosi lo Fundico di Santo Vitale. Ditta cappella al presente è mezza ruinata, però dicono quelli dela strada che fu annessa con gli edomadarii del’Arcivescovato, et ivi celebrano per l’anima del fundator d’essa, havendosi pigliate l’intrate quali havea detta cappella.

Santo Severo è una cappella sita dirimpetto la porta maggiore di Santo Giorgio; si governa per l’estaurita di San Giorgio, have d’intrata circa ducati ducento, et di continuo vi è un prete per fare lo sacrificio, per vi essere la comodità dele stanze, et del resto ne fanno bene a’ poveri dela piazza.

Santa Maria dela Stella è una cappella posta adietro dela prenominata cappella di Santo Severo, e proprio nela piazza detta de’ Gramatici. Fu edificata per uno grande architettore, nominato lo Mormando. Have d’intrata circa ducati sissanta, et è estaurita dela piazza; vi teneno un prete per lo cotidiano sacrificio, et lo resto di detta intrata ne fanno bene a’ poveri dela strada.

[46v]

L’Annunciata è una famosa et honorata chiesa con suoi hospidali. Nel luogo dove al presente sta, per l’adietro vi si comettevano molti maleficii a’ viandanti (perciocché il luogo solitario era), et per detta causa Mal Passo si nominava. Ma, per l’oraculo della Vergine madre, un gentil huomo napolitano dela nobil famiglia de’ Sconniti ci edificò detta chiesa con li hospidali (ma non tanto grande como si ritrova nel presente), et fu nel’anno mille trecento e quattro, a tempo regnava re Carlo Secondo, sì como appare per li privilegii di detta chiesa conservati per li mastri, quali volse lo fundatore che ciascun anno si eligessino in questo modo: un gentil huomo del seggio di Capuana e quattro cittadini per mastri et iconomi per governo di detta chiesa et hospidale, al quale detto fundatore [47r] donò certa rendita, anci tutta sua facultà, perché non havea moglie né figliuoli.

Dopo, la regina Giovanna Seconda, il Duca dela Scalea del’illustrissima famiglia Sanseverina, altri dela nobil famiglia di Gaetani et altri, li corpi de’ quali sono dentro detta chiesa, con legati e donationi hanno arricchita essa casa benedetta; in tanto che con li altri beni, quali da giorno in giorno sono fatti da’ christiani, nudrisce infinito numero d’ammalati frebicitanti e feriti, et più ci sono figliuole, volgarmente dette gettatelle, circa cinquecento, quale stanno nel loro luogo appartato appresso detto hospidale. E teneno de nutrizze circa quattro milia, et tutti pigliano ditti figliuoli a carlini quattro lo mese, et quando li pigliano da qualsivoglia altra persona ne voleno al manco ducato uno lo mese, et questo certo pare singular gratia che faccia Nostra Donna benedetta como madre di detti figliuoli. Vi sono servitori sittanta, quali serveno l’hospidali et le figliuole, spetiale, panittiero e macellaro, che tutti vengono a fare lo servitio di detta casa.

Et per vedersi li beni grandi che faceva detta chiesa, la felice memoria del Cardinal d’Aragona legò, con breve del sommo pontefice et assenso del’imperatore per le cose feudali, che li fosse annesso e connesso lo monasterio di Santa Maria Monte Vergine con li suoi priorati, che sono cinquanta uno, oltre le chiese et il beneficio di Santo Guglielmo, con tutte le castelle teneva detto reverendissimo cardinale, come Mercogliano, l’Hospitaletto, lo feudo de Montefuscolo con suoi casali, Mugnano e le Quadrelle, como anco [47v] l’altre terre e castelle furno donate dali sopra nominati et altri signori, che sono questi: Castello a Mare dela Bruca, Catona, Terra Dura, la Sciea, la città di Lesina, lo casale deli Cornuti, la Sala, la Salella, lo feudo di Policastro e lo castello dela Valle. Insino al presente giorno detta casa benedetta have d’intrata, levati li carrichi, circa ducati quindici milia.

Nela detta chiesa sono queste reliquie, cioè dui Innocenti, la testa di santa Barbara vergine et martire coverta d’argento, lo dito destro indice di santo Giovan Battista, con lo qual dimostrò Christo nostro redentore dicendo “Ecce Agnus Dei”; et più vi è una croce d’argento nella quale sono molte e diverse reliquie, quali taccio per non essere prolisso.

Nel cortiglio di detta chiesa è posto un luogo separato, dove s’impresta a’ poveri senza guadagno, e ci è di proprietà, oltra del’intrate del’Annuntiata, più de ducati cinque milia, che sono stati lassati e donati da signori, titulati et non titulati, e cittadini, et si spera in nostro signor Dio che detta proprietà passarà a maggior summa. Li offitiali che ivi sono hanno per loro provisione da scuti ducento per ciascun anno, quali vi sono dati d’elemosina da diversi luoghi pii, et tutto si è procurato per non disminuire o mancar di detta proprietà.

Appresso del’altra parte di detta chiesa è un altro cortiglio grande, ov’è posta una bella cappella sott’il nome di Santa Maria della Pace, quale prima si governava per confrataria, et ogn’anno facevano loro mastri. Ma vedendo il gran bene che si [48r] faceva per li mastri et iconomi del’Annuntiata, li detti confrati donorno a detta chiesa dela Annuntiata detta cappella dela Pace col cortiglio, giardino e stanze, sin come insino al presente possedeno.

La detta chiesa dela Annuntiata è uffitiata da preti quaranta e diaconi trenta, et tutti ben pagati, ch’hoggi in Napoli non ci è chiesa che sia così ben servita como essa.

Nella detta chiesa sono molti epitaphii, però ne pigliaremo alcuni ne pareranno più degni di essere annotati; e lo primo serà dela nostra viceregina Isabella di Ricchisentia, moglie de don Raimondo di Cardona, viceré di questo Regno. Qual Isabella fu una bellissima donna, e sta in uno sepolcro di marmo nel’altare maggiore, a man destra quando si entra, un palmo sopra terra, con una cancellata di ferro sopra, acciò non si consumi il marmo, per essere finissimo lavore, et in piedi di detta signora sta lo sotto scritto epitaphio:

Hospes legas, nè lugeas rogo.
Illa Isabella Ricchisentia Cardonia;
Neap. pro Regina, iacet hìc.
Quam si oculis in terris uidisse uiuentem,
Summa fuit beatitudo;
[48v]Quantò feliciores erunt, quibus animo
In coelis eandem (quinam mori potuit?)
Contemplari contingerit;
Credendum est eius formam, & uirtutem.
Animæ ad eternam gloriam fuisse comites.
Occidit Aurora Oriente, æt. suæ
Ann. XXXVI. V. Mar.

In volgar sermone risona:

“Viatore, legi ti priego, et non piangere. Giace qui quella Isabella Ricchisentia Cardonia, di Napoli viceregina, qual se fu somma beatitudine con l’occhi haverla vista viva in terra, quanto più felice saranno coloro a’ quali la medesma accaderà in cielo (imperoché in che modo ella potette morire?) con l’animo contemplare; è da credere sua bellezza e virtù che siano state dell’anima all’eterna gloria compagne. Morì nell’apparir del’aurora l’anno dell’età sua trenta sei, nelli cinque di marzo”

Appresso lo sopra detto sepolcro ne è un altro del medesmo marmo, nel quale giace il mortale della figlia dela sopra nominata viceregina, et non m’ha parso tacerla, per essere stata donna illustre, benché ci è uno epitaphio lo quale non si ha possuto ben legere per essersi accommodato in quel luogo uno sediale di legno dove sedeno li sacerdoti quando cantano la messa.

[49r]

Nella detta chiesa, quando si esce dala cappella maggiore, ala prima cappella si ritrova a man sinistra ci è un sepolcro di marmo nel quale sta scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Berardo Caracciolo, Parenti opt. atq. spectatiss.
Ioannes Antonius filius satis pius, ac Oppidi comes,
Diem suum obiens, monumentum ponendum
Ex testamento iussit.
Ferdinandus Caracciolus hæres gratiss. acceptiq.
Benefitij memor, & Neocastri, & Oppidi comes,
Ab Io. Antonio inceptam Aediculam conficiens,
Hoc monumentum debito, pietatis atq. gratitudinis offi-
tio posuit.
Ann. Christ. Salutis. M. D. LIX.

Che vol dire in volgar parlare:

“A Berardo Caracciolo, padre ottimo et degnissimo d’ogni honore, Giovan Antonio figlio assai pio et conte de Oppido, morendo, lasciò nel testamento fusse edificato questo sepolcro. Ferrante Caracciolo, herede gratissimo et bene ricordevole del benefitio, conte de Nicastro et de Oppido, complendo la cappella incominciata da Giovan Antonio, questo sepolcro con debito offitio de pietà et de gratitudine ha edificato [49v] l’anno dela christiana salute mille cinquecento cinquanta nove”

Dietro il choro, in una cappella a man destra, ci sta una sepoltura nel piano, ov’è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Lucretia Ebula,
Perpetuus Mariti dolor,
Hìc sita est.
Ioannes Vincentius Loffredus.
Coniugi dulcissimæ fecit.
Voluit idem,
Huc eius inferri Cineres;
Vt cum ea semper una esse posse
Mortuo saltem liceat,
Id quod uiuo non licuit.
Hinc pauperum cadauera non arceantur.

Questo vol dire in volgar sermone:

“Lucretia d’Eboli, perpetuo dolor del suo marito, qui giace. Giovan Vincentio Loffredo ala sua dulcissima moglie. Il quale ha voluto che anche le sue ceneri qua siano portate, acciò che sempre insieme con essa possa essere, et almeno ad esso morto lecito sia quel [50r] che non li fu lecito essendo vivo.
Da qua gli corpi di poveri non siano scacciati”.

Nella detta chiesa, quando si entra dala porta maggiore, nella prima cappella si ritruova dala parte destra è un bello sepolcro di marmo, nel quale sono assai bene scolpite di rilevo due donne, madre et figlia bellissima, con la inscrittion sotto scritta, composta dal magnifico Giovan Francesco Brancalione, medico e philosopho celeberrimo, per epitaphio:

Si Genus, pulcritudo, ingenium; si parentum Amor,
Pietas, labor, ac diligentia; mortales asserere possent
Ab impetu furentis mortis; Portia Pignatella infelix
Mater, inuitaq. superstes, nunq. Lucretiæ Caracciolæ
Nobile cadauer lachrimans sacro spiritui hoc
Tumulo condidisset.
Vixit annos, xxiiii. Men. xi. Dies. XXVI.
Decessit à partu Virginis, An. M.D.LII.

Qual in volgar risona:

“Se la famiglia, la bellezza, l’ingegno, se l’amor de’ parenti, la pietà, fatica e diligenza de quelli, gli huomini liberar potessero dal’impeto dela furiosa morte, Portia Pignatella, madre infelice e non volendo rimasta, [50v] mai haveria il nobil corpo di Lucretia Caracciola in questo tumulo al Sacro Spirto lachrimando riposto.
Visse anni ventiquattro, mesi undici e giorni vintisei. Morì dal parto virgineo l’anno mille cinquecento cinquanta dui”.

Di sopra la detta cappella n’è un’altra ancho dala parte destra nel’intrar dala porta maggiore, nela qual vi è un sepolcro con lo sottoscritto epitaphio:

Raymundo Vrsino Pacentri Comiti;
Morum suauitate, Candoreq. animi
Claro, & insigni.
Faustina Carrafa coniux mæstissima, quod nollet
id uolens prestitit. o rerum humanarum incostans exitus.
Vixit ann. XLVII. obijt. M.D.LVIIII.

In volgar dice questo:

“A Raymundo Ursino conte de Piacento, chiaro e nobile per la dolcezza degli costumi e per la bellezza del’animo, Faustina Carrafa, moglie mestissima, quell’ufficio volentier li dona qual ella non harria voluto. O incostante fine delle cose humane! Visse anni quarantasette, morì ali mille cinquecento cinquanta nove”

[51r]

Nel’entrar dela porta maggiore di detta chiesa, nella parte destra primo che si gionghi nel vaso del’acqua santa, è una sepoltura di marmo al piano, ov’è scolpito lo sottoscritto epitaphio:

D. O. M.
Ferdinandus Manlius Neap.
Camp. Architectus;
Qui Petri Toleti Neapolitan. Pro R.
Auspitio;
Regijs ædibus extruendis;
Plateis sternendis;
Cryptæ aperiende uijs, & pontibus
In ampliorem formam restituendis;
Palustribusq. aquis deducendis
Præfuit.
Cuius elaboratum industria
Vt tutius uiatoribus iter,
Loci colonis salubriores essent.
Timotheo enciclio Mathemat.
Pietatis rarissimæ filio.
Qui uixit An. XIX. M. VI. D. V.
Sibi, ac suis uiuens fecit.
A Christo nato. M. D. L. III.

[51v]

Che nel volgar risona:

“Ferrante Manlione napolitano, architettor di Campagna, il quale con l’aggiuto di don Pietro di Toledo viceré di Napoli fu preposto nel fabricar li Regii Palazzi, al far piane le piazze, ad aprir la Grotte, al restituir in più ampla forma le vie et i ponti et al rimovere l’acque palustri; la industria del quale s’affaticò che il camino più securo fusse a’ viandanti, i luoghi più salutiferi agli habitatori. A Timotheo Enciclio mathematico, figlio de rarissima pietà, il quale visse anni diecenove, mesi sei e giorni cinque, a sé et a’ suoi vivendo ha fatto questa sepultura l’anno da Christo nato mille cinquecento cinquanta tre”

Al’entrar a man sinistra, avanti che si giunghi nel vaso del’acqua santa, è una sepultura di marmo nel piano, nela quale vi sono scolpite le sotto scritte parole composte dal magnifico Giovan Francesco Brancalione per epitaphio:

D. O. M.
O Mortalium uariam instabilemq. fortunam.
Ioã. Boot Antuerpiæ nascitur;
Vt prudentior fieret,
Lustrat Europam.
Tandem Neapoli, dùm legibus
[52r] Operam nauat, atq. offitiosissimè negotiatur.
maiorum splendore nobilis;
fide, pietate, ac singulari integritate
Longè nobilior;
In ipso ætatis flore, moritur.
Antonius fratuelis, quem
Viuum seruare non potuit, hìc
Ex testamento, condito
Cadauere, pijs lachrimis
Ad superos conscendentem
prosecutus est.
Decessit à partu Virgineo,
M. D. LVI. die xxiiij. Februarij.

Quali in commune parlare risonano:

“A Dio ottimo massimo.
O varia et instabile fortuna di mortali! Giovanni Boot nasce in Anversa; per devenir più prudente, cerca l’Europa; finalmente in Napoli, mentre dà opera ale leggi et ai negotii virtuosissimamente, nobile per lo splendor di suoi maggiori, per fede, pietà e singular integrità assai più nobile, nel fior dela sua età morì. Antonio suo cugino, quel che non ha possuto agiutar vivo, quivi per il testamento, reposto lo suo corpo con piatose lachrime, ha sequito nel salir al cielo. [52v] Mancò dal parto verginale mille cinquecento cinquanta sei, alli vinti quattro di febraro”.

Nela medesma chiesa, d’incontro la sacristia, è una sepoltura al piano, nela quale vi è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Do. Io. Dominicus Oliua Neap.
Cum ab infantia hac sacra in æde
Virgini Dei paræ piè seruisset, eiusdemque
Esset in senectute Aedituus;
Hoc monumentum posuit.
Hìc labores, hìc ossa reliquit.
Anno. M. D. LX.

Che in volgar risona:

“Donno Giovan Domenico Oliva napolitano, havendo dala sua fanciullezza piamente servito in questa sacra chiesa ala Vergine de Dio madre, et essendo nella vecchiezza di quella conservatore capo di chiesa, ha posto questo monumento.
Qui le fatiche, qui l’ossa ha lasciato nel’anno mille cinquecento sissanta”.

Prossima ala sopradetta sepoltura n’è un’altra piccola, nela quale vi è scolpito lo sotto scritto [53r] epitaphio:

Antonius Amabilis Prothonot. Aposto.
Et Canonicus Neap. de suo nil aliud
quam tantulum marmoris sibi reliquit.
An. Sal. M. D. LII.

Cioè:

“Antonio Amabile, protonotario apostolico e canonico napolitano, del suo nient’altro ch’un tantillo di marmo si lasciò.
Nell’anno dela salute mille cinquecento cinquanta dui”.

Nela nave dela cappella maggiore, dala parte destra quando si va, è posta una cappella fundata per me sotto lo titulo di Santi Pietro e Stefano, alludendo al mio nome e cognome. Nela pietra di marmo posta di sopra l’ultimo grado del’altare, dove sta il sacerdote quando celebra la messa, sono scolpite queste poche parole composte dal magnifico Cola Anello Pacca napolitano, medico e philosopho erudito, per epitaphio:

En quò impellimur omnes?
Spes autem certa manet.

La qual sentenza brevemente comprende tutta la comedia dela nostra morte, imperoché al christiano la morte, bench’al principio si dimostri alquanto terribile, nulla di meno, per la speranza che tiene non me[53v]no della resurrettione del corpo che del’immortalità del’anima, si consola in Christo; per questo le dette parole dicono che ce accorgiamo ch’a questo passo tutti siamo sforzati, ma questa forza (a chi ben more) è dolce, atteso che rimane la certa speranza de consequire la gloria con l’anima e con l’istesso corpo, che al presente vedemo divenuto cenere sotto questi marmi.

Ali mastri et iconomi di detta chiesa et hospidale del’Annuntiata li confrati dela cappella dela Pietà, posta appresso le gradi di San Giovanni a Carbonara, donorno lo governo di detta cappella, ove li detti mastri del’Annuntiata hanno accomodato un altro hospidale per li feriti et impiagati, per essere meglior aere; et ci teneno preti sei con tre diaconi, che (mercé d’Iddio) mai detta cappella fu meglio uffitiata ch’al presente.

Del territorio di detta cappella ne fu fatta donatione da re Carlo Terzo ala città nel’anno mille trecento ottanta tre, a’ vent’uno di giugno, per intercessione d’un heremita nominato Giorgio. Qual territorio si chiamava Carbonara, perché in quel luogo, in ciascuna domenica e nei giorni festivi, conveniva gran parte dela città per vedere diversi giochi gladiatorii, per li quali succedevano morte d’huomini e casi sinistri; et volse da questi atti e successi empii che s’edificasse la cappella sotto nome di Pietà, secundo appare chiaramente per lo privilegio fatto per detto re Carlo, qual se conserva per detti mastri e iconomi del’Annuntiata.

Detti giochi gladiatorii, così da’ latini chiamati, erano giostre, thori, duelli et altri giochi d’arme; neli quali un giorno essendo ucciso un bellissimo giovane in presenza del Petrarcha, ch’era ivi col suo [54r] re Roberto, con sdegno dechiara come per il spargimento del sangue humano meritamente si chiama tal luogo Carbonara nel quinto libro dele sue epistole latine, in una epistola, il cui titulo è Franciscus Petrarcha Ioanni Columnæ, gladiatorios ludos, qui Neapoli exercebantur, detestatur, cioè “L’epistola di Francisco Petrarcha, il quale scrive a Giovanni Colonna, biasmando li giochi gladiatorii che se facevano in Napoli”. Seque poi nella epistola: “Quid autem miri est, si quid per umbram noctis (nullo teste) petulantius audeant, cum luce media spectantibus regibus ac populo, infamis ille gladiatorius ludus in urbe Itala celebretur plus quam barbarica feritate? Ubi more pecudum sanguis humanus funditur. Et sepe plaudentibus insanorum cuneis, sub oculis miserorum parentum infelices filii iugulantur: iuguloque gladium cunctantius excepisse infamia summa est; quasi pro republica aut pro eternæ vitæ premiis certetur. Illuc ego pridem ignarus omnium, ductus sum ad locum urbi contiguum quem Carbonariam vocant, non indigno vocabulo ubi si ad mortis incudem cruentos fabros denigrat tantorum scelerum officina. Aderant regina et Andreas regulus puer alti animi, si unquam delatum diadema susciperet. Aderat omnis neapolitana militia, qua nulla comptior, nulla decentior. Vulgus certatim omne confluxerat. Ego itaque tanto concursu tantaque clarorum hominum intentione suspensus, ut grande aliquid visurus, oculos intenderam, dum repente quasi letum quid accidisset, plausus inenarrabilis ad cælum tollitur. Circumspicio, et ecce formosissimus adolescens rigido mucrone trasfossus ante pedes meos corruit. Obstupui, et toto corpore cohorrescens equo calcaribus adapto, tetrum ac tartareum spectaculum effugi; comitum fraudem, spectatorum sevitiam accusans. Quam licet urbem unam ex omnibus [54v] Vergilius dulcem vocat, non inique tamen ut nunc est, bistonia notasset infamia, ubi hominem innoxium occidere ludus est. Heu fuge crudeles terras, fuge litus avarum”.

Così risona in lingua volgare:

“Qual meraviglia fia, se nell’ombre della notte gli huomini senza testimonio audacemente presumeno, quando nella chiara luce del mezzogiorno, risguardando il re et il popolo, l’infame mortale schermire si celebre nella città italiana con più che barbara crudeltà? Dove a guisa de pecore il sangue humano si sparge, anzi spesse fiate, mentre che le schiere delli matti fanno allegrezza, davanti agli occhi delli miseri padri i loro cari figli sono ammazzati, ali quali recevere la spada con indugio alla gola è a gran infamia, come si combattesse per la patria o per la speranza dela vita eterna. Laonde, io, non sapendo le cose, fui condotto ad un luogo vicino la città, qual chiamano Carbonara, vocabolo non indegno al luogo, percioché alla incude dela morte l’ufficina fa nigri l’insanguinati fabri per caggion di tante scelleraggini. Erano ivi presente la regina et Andrea, picciol re e di grand’animo, si mai piglierà la regal diadema; eravi anchor presente tutta la cavalleria napolitana, della quale (come ho visto) null’altra si ritrova più ornata né più honorata, et il volgo tutto a gara era concorso; ma io, che stavo sospeso e dubioso per il concorso e per la attentione di tanti clarissimi huomini, teneva gl’occhi intenti per veder qualche gran cosa; quando ecco subitaneamente alzarsi insino al cielo un’applausa mirabile, como successa fusse qualche cosa allegra. Risguardo intorno, et ecco un bellissimo giovanetto, il qual, [55r] fugendo, giacque nelli mei piedi per evitar il nimico; tra li mei stessi piedi dal corpo mortale dela punta di spada fu occiso. Laonde io impallidì, et tutto tremando, dando li sproni al cavallo, fuggì per non veder tal negro et infernal spettacolo, riprendendo la froda delli compagni et la crudeltà deli spettatori, et similmente la infamia deli schermitori. E quantunche Virgilio chiamasse una sola Napoli dolce, nulla di meno ingiustamente, essendo notata d’una barbara infamia, dove ammazzar uno huomo innocente si piglia in gioco. Horsú fuggi le crudel cittadi, fuggi, dico, i lidi avari!”

Per le qual parole possimo sapere perché detto luogo è detto Carbonara.

Santo Filippo e Giacomo è una cappella fundata nel mio tempo nela Strada de’ Parrettari da quelli del’Arte dela Seta, et loro la governano per mastria. Have d’intrata circa ducati cento, et teneno pensiero farci sacrificio.

Santo Agrippino, padron di Napoli, è una gran cappella posta nella crocevia quando si discende dala porta maggior del’Arcivescovato et si va in Santo Augustino. Qual è estaurita dela piaza di detto Santo Augustino e dela piazza di Forcella, et si governa per mastria dele dette piazze. Have d’intrata circa ducati settecento, et vi sono preti otto e diaconi otto, grandi et piccioli. Et ciascun anno maritano figliuole del’una piazza e del’altra. Non si può sapere per cosa degna di fede il fundatore, si have da credere fusse stata edificata dagli habitanti di dette due piazze, massime per esser.lloro estaurita.

[55v]

In questo anno prossimo passato una figura dela Madonna depinta nel muro di detta chiesa dala parte dela strada, et proprio al’incontro de Santa Maria a Piazza, qual è parrocchia, have fatto infinite gratie che per molti giorni era tanta la moltitudine d’huomini e donne che vi concorrevano che non vi si poteva accostare di presso un tratto di pietra, né di giorno né di notte.

Lo Salvatore è una cappella posta nela Piazza deli Tarallari; è iuspatronato dela nobil famiglia de’ Puderichi, have d’intrata circa ducati sittanta, e detta famiglia tiene pensiero di farci celebrare.

Santa Maria dela Scala è una chiesa propinqua al monastero dela Egittiaca; è grancia di Sant’Archangelo deli Armieri. Nominasi Santa Maria dela Scala perché al proprio luogo si conservava la scala qual serviva quando si appicavano gl’huomini. Non si può haver certezza del fundatore. Nel presente have d’intrata circa ducati cento cinquanta, et vi è un rettore nominato lo reverendo Giovan Luisi Campanile, et vi sono preti sei con diaconi dui, et organo; che par habbia d’intrata assai più che non ha.

[56v]

Santo Crispino è una gran cappella edificata nel mio tempo dala congregatione del’Arte de’ Calzolari; have già anni ventisei, secondo appare per una loro inscrittione in uno quadro di marmo fabricato nela detta cappella, et certo è ben ufficiata da preti tre e diaconi dui. Ha d’intrata ducati centoventi, et l’altri che bisognano si fanno di elemosine fra loro, mercé de Dio benedetto.

[68r]

Santo Basilio è una cappella sita a Mezzo Cannone quando si va a Santo Dominico, a man sinistra. N’è abbate lo magnifico et reverendo Lelio Brancatio, ne have d’intrata circa ducati cento, et tiene pensiero di farvi celebrare.

[71v]

Santo Antonio è una cappella sita prossimo al cortiglio [72r] dela porta maggior di Santo Domenico, e sotto il pallazzo del’illustrissimo Marchese del Vasto, et sua famiglia tene cura farci celebrare, perché non tene altra intrata, solo sei ducati.

[78v]

Santo Cipriano è una cappella sita nela Piazza di Sant’Arcangelo dele Monache, e proprio dirimpetto al palazzo dela honorata famiglia di Terracini. Nel presente è l’abbate lo magnifico et reverendo Berardino Brisegna, ne have d’intrata circa ducati sissanta, et lui tiene pensiero di farvi fare il sacrificio.

Lo Giesù è una chiesa seu collegio edificato nela strada dritta del seggio di Nido, et sta propinquo fra lo monastero di Santa Maria Montevergine e quel di Santo Festo. È stata fundata da circa anni otto, nominandosi lo Collegio del Giesù de’ preti reformati. Vi sono al presente da circa preti diaconi e conversi trentacinque, et sono tutti bonissimi letterati che teneno scuola de più scientie et di buoni costumi, quali non si ritrovano così in l’altre scuole. Al presente vi sono da scolari trecento de nobili e cittadini, et non pigliano mercede alcuna, come pigliano l’altri mastri per loro travagli, anzi con grandissima carità insegnano li figliuoli. Confessano di continuo, dando in qualsivoglia tempo in la chiesa il santissimo sacramento del Corpo di Christo; e con grandissima riverenza, senza alcuna mercede et fin al presente, hanno dispeso in compere de case et in fabricare circa ducati dudici milia senza haverno cosa alcuna; che si può ben dire in Napoli essere tutti luoghi pii e caritativi quali sono oportuni e necessarii al christiano, del che nostro signore Dio ceaiuti con la sua santa gratia che di continuo si attendi al suo servitio, accioché poi ne conceda la sua gloria.

[79r]

Delle chiese de’ claustrali, libro secondo.

Havemo nel primo libro narrate le chiese e cappelle che da’ preti seculari o regolari sono ufficiate, non havendo poste molte altre cappelle quali sono dentro le castelle, tribunali et palazzi di questa città, che fanno uno buon numero; et questo per non esser tedioso alli lettori, e tanto più che in quelle non si ritrova cosa da notare. Al presente narraremo in questo secondo libro quelle chiese che da frati o monaci sono servite, ove, secondo il nostro proposito, maggior numero de sepolchri et d’epitaphii ritrovaremo. E per non voler ponere dissidio tra religione e religione o tra monaci e monaci, né facendo altro pensiero d’antiquità, con quel’ordine procederemo che o qualche particular prerogativa o qualche altra conditione ne dimostrarà. Ma poiché con comune consenso tutti i monasteri di questa christianissima città quietamente cedeno al venerando tempio sotto il titolo di Santo Pietro ad Ara, da quello ancho noi pigliaremo principio. Né sia ad alcuno meraviglia che tutti li altri a questo cedano, atteso che (oltre che sia dicato al prencipe e capo degli Apostoli, tanto diletto dal signor nostro Giesù Christo, che li donò il primato dela Chiesa e con quello le chiavi del cielo) questo è quel luogo ove esso primo pontefice primamente in questa città offerse il sacrificio del pane e del vino, anzi del santissimo corpo e preciosissimo sangue del suo Maestro; che forse non seria molto dal vero lontano chi pensasse questo essere stato, se non il primo, almeno de’ primi luoghi ove detto glorioso pontefice celebrato haves[79v]se. Per l’antiquità, dunque, essendo il primo luogo sacro di Napoli, e per la prerogativa dela prima celebratione in questa città e del primo pontefice, sono costretti tutt’altri cedere. Lascio che questa chiesa è ufficiata da’ canonici regolari di santo Augustino, quali quando vesteno senza la cappa negra, solo con li rocchetti bianchi, precedeno tutti gli altri frati o monaci, perché portando detta cappa negra i frati negri di san Benedetto li precederiano, così come precedeno gli altri.

Santo Pietro ad Ara è dunque una chiesa situata vicino la chiesa benedetta dell’Annunciata. Nel qual luogo avante li napolitani sacrificavano all’idolo d’Apollo, e in detto luogo lo Prencipe degli Apostoli (partito d’Antiochia per andar alla famosa Roma dopo la morte del nostro Redentore) offerse il pane et vino consecrato in un altare al clementissimo Dio, onde convertì ala santa fede Asprenno, huomo d’honestissimi costumi e di santa vita, e lo creò vescovo di questa città, e parimente la castissima Candida vergine, che li primi christiani da questa parte furno li mei napolitani. Li canonici regulari che ufficiano detta chiesa ascendono al numero di quaranta con li conversi; teneno per reliquie lo braccio di santa Candida e certi denti deli Innocenti, et molte altre reliquie, che non si sa di quali santi sono. Hanno d’intrata circa ducati mille et cinquecento.

Detta chiesa gode multe indulgentie, como appare in una tavola che sta appiccata appresso l’altar maggiore, che li furo concesse da diversi sommi pontefici; de qual tavola n’ho qui sotto posti dui capitoli, che mi pareno siano al mio proposito, et sono questi:

Post Iesu Christi Resurrectionem, & ad cœlos Ascensionem An
[80r]no uigesimo, Beatus Petrus Apostolus Neapolim ueniens, prima iecit fundamenta presentis ecclesiæ ab eodem nuncupatæ, & ad memoriam Posterorum extabat titulus marmoreo lapide inscriptus parieti campanarum confabricatus, qui exercitu barbarico Neapolitanum agrum peruagante, interceptus est.

Che vol dire in volgare:

“Dopo la resurrettione et ascension del signor nostro Giesù Christo l’anno ventesimo il beato Pietro apostolo, venendo in Napoli, pose li primi fondamenti dela presente chiesa, nominata del nome del detto san Pietro. Et a memoria delli posteri vi era un titulo scolpito in un marmo fabricato nel muro dele campane, il qual fu tolto dal’exercito de’ barbari, il quale andava depredando per lo territorio napolitano”

Il secondo è questo:

Idem Apostolorum Princeps eandem ecclesiam per se ipsum consecrauit, & in huius dedicationis memoriam extat lapis marmoreus Grecis literis exculptus qui in dextro cornu maioris altaris conditur.

Cioè:

“Il medesimo principe degli apostoli la medesma chiesa per sé proprio consecrò; et in memoria di questa dedicatione vi è una pietra di marmo con lettere greche scolpita, qual nella destra parte del’altar maggior sta fabricato”

Nella detta chiesa di Santo Pietro ad Ara vi è una cappella dala parte destra dela cappella maggiore, dentro la quale sono dui sepolcri di marmo, l’uno più superbo del’altro. Nel’uno vi sta scolpito lo sotto scritto [80v] epithaphio:

Baldassarri Ricchæ Fratri concordiss.
Gaspar natu maior superstes,
Commune marmor posuit; ut quos uita
Coniunctissimos tenuit, Mors indiuisos
Custodiret.
Ann. sal. M.D.XVIII.
Obijt annum agens. XXVII. XXI. Decembris.

Vol dir in volgar parlare:

“A Baldassarro Ricca fratello concordissimo, Gasparro, frate maggiore rimasto, pose questo comune marmo, acciò essi, quali in vita furno congiuntissimi, la morte uniti custodisse, l’anno dela salute mille cinquecento e deciotto.
Morì essendo d’età d’anni ventisette, alli vent’uno di decembre”.

Nell’altro sepolcro sono scolpiti li sequenti versi per epitaphio:

Coniuge marmoreo prole & curante Ioannes
Riccha tua tumulo condita membra tenes.
Quòd fuerit tua casta fides, moresq. pudici
Viuis, & eternum uiuet in orbe decus.

Che risonano nel volgare:

“Giovanni Riccha, tu tieni le tue membra riposte in questo marmoreo sepolcro, procuratoti da tua moglie e figliuoli; e per essere stata la [81r] tua fé casta et i costumi pudici, vivi, et viverà ancho nel mondo l’eterno tuo honore”

Appresso detta cappella ne è un’altra a man destra con una sepoltura di marmo al suolo con questi versi per epitaphio:

Hìc Dorothea prius Caiazza ex gente quiesco,
Quæ patris ossa pij, & demoror illa uiri;
Vt tres, cum fuerit ratio reddenda tonanti,
Trino surgamus sic fruitura Deo.
Dorotheæ Andreæ Caiaziæ. F. atq. uxori suæ benemerẽti,
Marcus Antonius Piccolus Neap.
Causidicorum Celeberrimus, legis diuinæ non immemor,
& sibi; & suis pos.
M. D. LIIII.

In lingua volgare risonano:

“Qui riposo io, Dorothea, dela famiglia di Caiazza prima; nel qual luogo sono l’ossa del pio padre mio, e dove aspetto quelle del mio marito, accioché quando s’haverà da rendere raggione a Dio, tutti tre habbiamo a sorgere per godere il trino Iddio.
A Dorothea figlia d’Andrea Caiazza, e moglie sua ben meritevole, [81v] Marco Antonio Piccolo napolitano, de’ procuratori il più celebrato, non dimenticato dela legge divina, a sé et a’ suoi ha fatto questa sepoltura nel mille cinquecento cinquanta quattro”.

Nell’altra cappella appresso, a man destra dela sopra detta, è una sepoltura al piano, ove è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

D. Sempiterno & O.
Gregorius Russus Neap.
Inter Tabelliones sui æui
non infimus. eoque in offitio
Patri, Auoq. nec dissimilis.
In aduentu Caroli. V. Cæs.
inuicti in hanc urbem
Populi Tribunus existens,
mortalitatis memor
Ac, per hoc, uiuens ut moriturus;
Sacellum hoc sibi, a Canonicis elargitum,
Vtriusq. Ioannis Num. dicauit.
Cauitq. eius in ara censu annuo quotidie celebrari,
Sui, Posteritatisq. suæ
Memoriæ ergò.
Sal. Ann. XXXV. supra. M. D.

[82r]

Dicono questo in volgare:

“Gregorio Russo napolitano, tra li notari del suo tempo non infimo, et in quello ufficio al padre et avo non dissimile, nella venuta di Carlo Quinto imperatore invitto in questa città ritrovandosi eletto del Popolo, ricordandosi d’essere mortale e per questo vivendo come chi ha da morire, questa cappella datoli dagli canonici all’uno e l’altro Giovanni ha dedicato et ha provisto d’annuo censo, accioché nel suo altare ogni giorno si celebri per causa di memoria sua e de’ suoi posteri, l’anno dela salute mille cinquecento trenta cinque”

[87v]

Santo Severino è una chiesa nuova non ancho complita, sita al’incontro del palazzo del’illustre Conte di Ruvo, al presente Duca d’Andria. È offitiata da’ detti monaci negri di san Benedetto, quali sono sissanta con li conversi, et teneno d’intrata circa ducati cinque milia.

Nel’ecclesia antiqua sotto l’altare maggiore sono li corpi di detto santo Severino e di santo Sossio, qual fu discepolo di santo Gennaro.

La chiesa nova la principiò re Alfonso Secundo, qual hoggi si va complendo per li beni fanno li nostri napolitani, et massime per lo legato del condam Troiano dela nobil famiglia di Mormili.

In detta chiesa nova di Santo Severino ci è una cappella dala parte sinistra dela cappella maggiore, ove sono tre sepolcri di marmo fatti a tre figli maschi morti in una hora di veleno, e nel mezzo di detti tre sepolcri vi è un altro sepolcro più bascio ove sta la madre, illustre Contessa dela Saponara. Al primo sepolcro del figliuol maggiore, che espettava detto titulo di conte dela Saponara, ci sta scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Hìc ossa quiescunt Iacobi SanSeuerini Comitis Saponariæ
ueneno miserè ob auaritiam
[87r] Necati, cum duobus miseris Fratribus
Eodem fato, eadem hora commorientibus.

Che voglion dire in lingua volgare:

“Qui riposano l’ossa di Giacomo Sanseverino conte dela Saponara, di veleno per avaritia miseramente con doi miseri fratelli dela medesma morte nell’istessa hora ammazzati”

Al secondo figlio a man destra sta il suo sepolcro, ov’è scolpito lo sottoscritto epitaphio:

Iacet hìc Sigismundus Sanseuerinus ueneno
impiè absumptus; qui eodem fato, eodem
tempore pereunteis germanos fratres,
nec alloqui, nec cernere potuit.

Vol dire:

“Qui giace Sigismundo Sanseverino di veleno empiamente morto, al quale i cari fratelli, dela medesma morte nel medesmo tempo morendo, né parlare né vedere li fu concesso”.

Al terzo sepolcro, ove iace il terzo figlio, a man sinistra, vi è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Hìc situs est Ascanius Sanseuerinus, cui
Obeunti eodem ueneno iniquè, atq. impiè
[87v] Commorienteis Fratres, nec alloqui, nec uidere quidem licuit.

Risonano in lingua volgare:

“Qui è posto Ascanio Sanseverino, al quale morendo iniqua e crudelmente del’istesso veleno non fu lecito parlare né vedere i suoi fratelli, ch’insieme con esso morivano”

Nel sepolcro dela contessa.lloro madre sta scolpito lo sottoscritto epitaphio:

Hospes, Miserrimæ
Miserrimam defleas orbitatem.
En illa Hipolita Montia
Post natas feminas infeliciss.
Quæ Vgo Sanseuerino coniugi
Treis max. expettationis Filios peperi;
Qui uenenatis poculis
(Vicit in Familia (proh scelus?)
Pietatem cupiditas;
Timorem audatia; & rationem amentia.)
Vnà inmiseror. complexib. parentum
Miserabiliter illicò expirarunt.
Vir ægritudine sensim obrepente
Paucis post annis in his etiam manib. expirauit.
[88r] Ego tot superstes funerib.
Cuius requies in tenebris;
Solamen in lachrimis;
Et cura omnis in morte collocatur.
Quos uides seperatim tumulos.
Ob æterni doloris argumentum,
Et in memoriam posui illorum sempiternam.
Ann. M. D. XLVII.

Che dice in volgar sermone:

“Piangi, tu che passi, la miserabil orbità d’una miserabile donna: ecco quella Ipolita deli Monti, assai più del’altre donne nata infelice, quale ad Ugone Sanseverino consorte tre figli di grandissima espettatione partorì; i quali con avvelenate bevende (vinse nella famiglia – hai, sceleragine – l’avaritia la pietà, l’audatia il timore e la pazzia la raggione) subito miserabilmente nelle brazzia del padre e della madre insieme spirorno. Il mio marito, a poco a poco l’infirmità nell’animo intrando, non molt’anni dopoi anchor in queste mani spirò. Io a tanti essequii rimasta, il cui riposo nelle tenebre, il refrigerio nelle lachrime et il pensiero tutto nella morte si pone, questi sepolcri, quali vedi seperati, in segno d’eterna doglia et in loro sempiterna memoria ho posto nel’anno mille cinquecento quarantasette”

[88v]

Nella chiesa vecchia, ov’hoggi offitiano detti monaci, al’entrare d’essa a man destra, nela seconda cappella ch’è dela nobile famiglia de’ Cicari, sono dui sepolcri di marmo; nel’uno al’intrar a man destra è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Nate patris, matrisq. amor, & suprema uoluptas,
En tibi, quæ nobis te dare sors uetuit
Busta, eheu, tristesq. notas damus; inuida quando
Mors immaturo funere te rapuit.
Andreæ filio dulciss.
Qui uixit Ann. VI. Menseis duos, dies XX.
Robertus Bonifatius, & Lucretia Cicara parentes
ob raram indolem.

Dice nel volgare:

“Figlio, del padre e della madre amore e supremo diletto, ecco, ahi, ahi, il sepolcro e dolente note, le quale vetò te dare a noi la sorte, ti damo, havendoti così tosto rapito l’invidiosa morte.
Ad Andrea figlio dulcissimo, il quale visse anni sei, mesi dui, giorni venti, per l’apparenza dela futura virtù Roberto Bonifacio et Lucretia Cicara, padre et madre”.

Nell’altro sepolcro a man sinistra è lo sotto scritto epitaphio:

Liquisti gemitum miseræ lachrimasq. parenti.
Pro quibus infelix hunc tibi dat tumulum.
[89r] Ioanni Baptistæ Cicaro;
In quo uetusta ac nobilis
Cicarorum familia esse desiit.
Mariella Mater infæliciss.
memoriæ causa contra uotum pietatis posuit.
Vix. Ann. xxij. M. ix. Dies. xxix.
Decessit salutis Anno M. D. IIII.
Prid. Kal. Decembris.

Così risona in lingua volgare:

Lasciasti suspiri e lachrime ala misera madre, per le quali ella infelice ti dà questo sepolcro.
A Giovan Battista Cicaro, nel quale mancò l’antiqua e nobile famiglia di Cicari. Mariella madre infelicissima per caggione di memoria contra il pietoso suo volere fece questo sepolcro. Visse anni vintidui, mesi nove, giorni ventinove. Morì nel’anno della salute mille cinquecento et quattro, nel’ultimo di decembre”.

Nella detta chiesa, al muro dela sacristia è un sepolcro che ha scolpito lo sotto scritto [89v] epitaphio:

Alfonso Belmontio ex Illustri
Belmontiorum Familia;
Qui in Liguria peditum præfectus,
pro Carolo Cæsare strenuè pugnans,
aduersis uulneribus confessus
Interijt.
Hisabella Gallutia, a Gaio & Lutio cæsaribus,
undè Gallutiorum Gens dicta,
originem ducens;
Mater infœlix, contra uotum pietatis
profusiss. lachrimis posuit.
Theogoniæ an. M.D.XXIII.

Che risonano nel volgare:

“Ad Alfonso Belmontio dell’illustre famiglia de’ Belmonti, il quale in Genua capitano de’ soldati gagliardamente per l’imperatore Carlo combattendo, ferito dall’adversarii, morì. Isabella Gallucia, la quale da Gaio et Lucio imperadori, donde è detta la famiglia de’ Gallucii, mena l’origine, madre infelice contra il suo pietoso volere rimasta, con lachrime sparse pose questo sepolcro nel’anno dela natività d’Iddio mille cinquecento venti tre”

Nela detta chiesa è una sepoltura nel piano che ha scolpito lo sotto scritto [90r] distico:

Nunc dolor & lachrimæ est, olim spes una suorum
Andreas, noctem híc qui Moriminus agit.
M.CCCCLXXV.

Cioè:

“Qui dorme Andrea Mormile, il quale fu un tempo unica speranza deli suoi, et adesso è dolor e pianto. Ali mille quattrocento sittanta cinque”

Fuor di detta chiesa, nella cappella a man sinistra è una sepoltura al piano con lo sotto scritto epitaphio:

Leonardo Como Neap. uiro Clariss.
Cuius domi forisq. plurimis ac maximis
in rebus uirtus enituit; qui Ferdinando,
Alfonso, & Federico Aragoneis Regibus
ita spectatus est, ut non solum horum
Patrimonij procurator esse meruerit; sed
in consiliarum eligi, in quo utroq. munere
eius ægregiam fidem, atq. integritatem Reges
testimonio comprobarunt; meritis honestarunt.
Vixit Ann. LXXV.
moritur Ann. sal. M. D. xxx. Id. Maias
[90v] Ioannes Angelus, & Ioannes Vicentius Comi
Hæredes Patruo. B. M. Pos.

Così risona in lingua volgare:

“A Lonardo Cuomo napolitano, huomo chiarissimo, la virtù del quale dentro et fuor di casa in assai et gran cose resplende; il quale così è stato mirato da Ferrante, Alfonso et Federico regi de Aragonia, che non solamente ha meritato essere procuratore del loro patrimonio, ma anchora essere eletto nel numero de’ consiglieri, nelli quali ambidui ufficii la sua egregia fede et integrità essi re hanno con testimonio comprobata et con beneficii ornata.
Visse anni sittantacinque; morì nel’anno dela salute mille cinquecento trenta, ali quindici del mese di magio.
Giovan Angelo et Giovan Vicenzo Cuomi heredi al cio ben meritevole han fatto questa sepoltura”.

Ritrovandomi nela chiesa di San Benedetto di Monte Casino li anni passati, qual è ufficiata dali sopra detti monaci negri di san Benedetto, viddi.llà un bel sepolcro di marmo, nel quale era sepolto Guido Ferramosca conte de Mignano et Isabella Castriota sua moglie; vi haveva fatto scolpire lo sotto scritto epitaphio:

Dum facio Infelix æterno funera fletu.
Creuerunt lachrimis hæc monumenta meis.
[91r] Quis, nisi mollissem tristissima corda, rigèrem
Ipsa etiam hìc toto corpore facta silex.

Quali versi così risonano nel volgare:

“Mentre io infelice faccio l’esequie con eterno pianto, questo sepolcro crebbe per le mie lachrime, con le quali s’io non havesse lo ramaricato cuore ammolito, qui io anchora tutta fatta di marmo sarei indurata”

[94r]

Monte Oliveto è una chiesa posta sopra la Strada del’Incoronata al’incontro del palazzo del’illustrissimo Duca di Gravina. Quale ufficiano i monaci bianchi, quali hanno per insegna la croce santa del Mont’Oliveto. Hanno per reliquie un pezzo dela croce, ove fu crucifisso Christo nostro redentore, et li capilli dela Madonna. Detti monaci hebbero principio nel’anno del Signor mille quattrocento e sette nel territorio di Siena da certi nobili cittadini, li quali, per tante guerre e scisme fastiditi, mossi dalo Spirito Santo, insieme d’un animo e d’una voluntà si partirno da Siena et andando ad un certo luogo nominato Monte Oliveto, discosto mi[94v]glia quindici da Siena, tutti spogliati dele cure mondane, como heremiti cominciorno insieme a servir Dio in orationi, digiuni et vigilie con un fervore incredibile. E per essempio loro molti cittadini giovani e vecchi l’andorno a trovare, desiderosi anchor loro acquistare vita eterna, per la qual cosa in breve tempo accrebbe il numero. Del qual fervore havendo noticia il pontefice, mandò per quelli principali, qual andorno in Roma a dar dela lor vita piena noticia; et essendo da loro ottimamente informato, alzò la voce il papa dicendo “questa è pianta divina, e non d’humano consiglio”, e tutto lieto approvò la lor vita e confirmò con molti privilegii quella, com’anchora al presente si vede manifesto. Et acciò che tal fervore potesse sequitare, concesse a.lloro l’habito bianco in honor dela gloriosissima madre de Dio Maria Vergine, dando a loro la regola di san Benedetto, et li concese anchor molti monasteri in diversi luoghi.

Nela detta chiesa in Napoli ci sono monaci et conversi circa ottanta, et hanno d’intrata circa ducati sei milia. Fu prima fundata da uno nomine Gurrero del’antica e nobil famiglia d’Origlia; dopo, per Alfonso Secundo fu magnificata. Qui si vedeno bianchissimi marmi nelle cappelle. Quivi sta sepolto in una tomba dentro la sacrestia lo reverendissimo Cardinal Colonna, che fu viceré in questo Regno, e nella cappella maggiore ci sono due altre tombe: in l’una sta il corpo di don Francesco d’Aragonia figlio di re Ferrante Secundo, e nel’altra sta il corpo di don Carlo d’Aragonia figlio naturale di detto re Ferrante; e per essere tali personagi, non m’è parso tacerli.

Nell’intrar dela porta a man sinistra è una bellissima cappella, in la quale è un sepolcro di marmo con lo sotto scritto [95r] epitaphio:

Quis legis hæc summissius legas,
ne dormientem excites.
Rege Ferdinando orta Maria Aragonea
Hìc Clausa est.
Nupsit Antonio Piccolomineo Amalfæ
Duci strenuo, cui reliquit treis filias,
pignus amoris mutui.
Puellam quiescere credibile est,
Quæ morì digna non fuit.
Vixit An. uiginti.
Ann. D. MCCCCLX

Dicono in comun parlare:

“O tu che leggi, leggi con voce più bassa, acciò che non risvegli questa che dorme. Qui è chiusa Maria Aragonia nata di re Ferrante, la qual fu maritata ad Antonio Piccolhomini strenuo duca d’Amalfi, al qual lasciò tre figliuole, pegno del comune amore. È cosa credibile questa giovane riposarsi, la qual non fu di morir degna. Visse anni venti; nel’anno del Signor mille quattrocento sessanta”

Avante la porta per la qual s’entra nella sopradetta cappella è un altare posto per l’auditore del ditto Duca d’Amalfi, appiedi del qual altare in una sepoltura di marmo è scolpito lo sotto scritto [95v] epitaphio:

Pirrus Pectius V. I. D. & Caterina Scuria coniuges,
Augustino filio, sibi & posteris posuère.
Ann. Sal. M. D. XXV.
Hìc ut Alfonso Piccol’homineo
Amalfiæ Duci perpetuò deditus,
Moriens procul abesse noluit.

Vol dire in lingua volgare:

“Pyrro Pettio dottor di legge et Caterina Scuria, marito et moglie, hanno edificato questo sepolcro ad Augustino suo figlio, a sé et a’ loro posteri nel’anno M.D.XXV.
Costui, sì como era stato perpetuamente dedicato ad Alfonso Piccolhomini duca d’Amalfi, così morendo non volse esserli lontano”.

In un’altra cappella appresso la sopra detta sta in una tomba l’aventuroso e strenuo Marchese de Pescara, al quale il celebrato Lodovico Ariosto compose il sotto scritto epitaphio in dialogo, e non l’hanno posto anchora, perché pensano mutar sua sepoltura.

Epitaphio:

Quis iacet hoc gelido sub marmore? maximus ille
Piscator; belli gloria, pacis honos.
[96r] Nunquid & hic pisces cepit? Non. ergo quid? Urbes
Magnanimos Reges, Oppida, Regna, Duces.
Dic, quibus hæc cæpit Piscator rhetibus? alto
Consilio, intrepido corde, alacriq. manu.
Qui tantum rapuère Ducem? Duo Numina, Mars, Mors.
Vt raperent quis nam compulit? Inuidia.
Nil nocuère sibi, uiuit nam fama superstes,
Quæ Martem, & Mortem uincit, & Inuidiam.

In parlar volgar risonano:

“Chi sta sotto questo freddo marmo? Quel gran pescatore, gloria dela guerra et honor dela pace? Forsi pigliò costui pesci? Non. Che dunque pigliò? Le cittade, i regi magnanimi, le castelle, i regni et i duci. Dimmi, con quali rheti pigliò queste cose il pescatore? Con alto consiglio, intrepido cuore et allegra mano. Chi ha tolto tanto duce? Dui numi: Marte e Morte. Chi li sforzò a toglierlo? L’Invidia; ma non l’hanno punto possuto nocere, imperoché anchor vive la fama ch’è rimasta, la qual vince Marte, Morte e l’Invidia”

Appresso la sopradetta cappella n’è un’altra, ove sta un sepolcro di marmo con lo sotto scritto epitaphio:

Ioannes de Cabaniglis Troyæ Comes;
Fati acerbitate luctus perpetuus
[96v] Quibus meritò maxima erat spes.
Obijt Anno M.CCCCLXXXIII.
Vixit Ann. xxx.

Questo voglion dire in lingua volgare:

“Giovanni Cabanigli conte di Troya, per crudeltà del fato perpetuo pianto a quegli ai quali meritevolmente era somma speranza; morì l’anno mille quattrocento ottanta tre, visse anni trenta”

In un sepolcro di marmo al’altar ch’è al’uscir la porta del choro dala parte destra è scolpito lo sottoscritto epitaphio:

Vt moriens uiueret,
Vixit ut moriturus.
Ioannes Paulus Roynaldi Vaxalli filius,
ex nobilitate Neapolitana, Auersanus Antistes;
Cum Diui Pauli patrimonium Templumq.
piè ac sanctè auxisset, decorassetq.,
et monumentum sibi construi iussisset;
Paterna pietate ductus, sepulchrum hoc
uiuens faciundum curauit; & in eo
[97r] uita functus condi maluit.
Anno Christi. M.D.

Dice così in volgare:

“Acciò che morendo vivesse, visse ricordevole dela morte.
Giovan Paulo filio di Rainaldo Vassallo dela nobiltà napolitana, vescovo d’Aversa, havendo accresciuto la chiesa et il patrimonio di San Paulo, e pia e santamente ornatola, et havendo comandato a sé farsi il monumento, guidato da paterna pietà, vivendo hebbe pensiero che se li facesse questo sepolcro, et in esso, poi che fusse morto, volse esser sepelito. L’anno de Christo mille cinquecento”.

Nella prima cappella quando s’entra la porta dala parte destra vi è uno piccolo sepolcro di marmo con lo sotto scritto distico:

Qui fuit Alfonsi condam pars maxima Regis,
Marinus hac modica nunc tumulatur humo.

Al’incontro di detto sepolcro ci è un sediale di marmo, ov’è scolpita la sotto scritta [97v] inscrictione:

Marinus Curialis Surrentinus, Terræ Nouæ Comes.
Ann. Domini. M.CCCC.LXXXX.

In volgar così risonano:

“Marino, il quale un tempo fu gran parte di re Alfonso, adesso è sepellito in questa poca terra”

Nel sediale:

“Marino Curiale Surrentino conte di Terra Nova. L’anno del Signor mille quattrocento novanta”

In una cappella che sta appresso la porta dela sacristia è una tomba coverta di velluto negro con un cartiglio di carta, nel qual è scritto lo sotto scritto epitaphio:

Quam Capit hic tumulus
Cecilia Ianuaria,
Inter præcipua huius urbis ornamenta
Venustatis, atq. pudicitiæ exemplum,
Hìc ab Iulio Ianuario marito miserabili,
Donec eius cìneres
Commodiori, & utriq. solum communi
sepulchro deponantur,
sita est.
Elata ex abortu cunctis collachrimantib.
Anno ab ortu salutis,
M. D. xxx. XVI. Cal. Aprilis.

[98r]

Dice nel volgare:

“Cecilia Di Gennaro, la qual chiude questo sepolcro, essempio di bellezza e di pudicitia, tra li ornamenti d’importanza di questa città, qui da Giulio Di Gennaro, marito degno di compassione, mentre le sue ceneri più comodamente in un sepolcro solo a loro due seranno deposte, giace. Morì per isconciatura con lagrime de tutti l’anno dela salute mille cinquecento trenta, a diecesette di marzo”

Nela medesma cappella, al’incontro di detta tomba, è un’altra tomba coverta pur di velluto negro con un altro cartiglio, nel quale è scritto lo sotto scritto epitaphio:

Hisabellæ Oriliæ.
Cui nunquam uel tantillum
querelarum dedimus;
Superstites nouem filij.
Matri optimæ.
Vixit Ann. LVII.
Obijt. M.D.XXXVII.

Così in volgar dice:

“Ad Isabella Origlia, alla quale mai pur una minima querela habbiamo dato; nove figli rimasti all’ottima madre. [98v] Visse anni cinquanta sette et morì nell’anno mille cinquecento trenta sette”

In un marmo lungo avante la porta dela sacrestia è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Tendimus huc omnes.
Hospes, quem teris lapidem,
Ioanni Riberio æq. Ispalensi
Singulariss. Viro exempli,
Ductori strenuo,
Et Castror. præfec. solertiss.
Consaluus Riberius
Profusissimis lachrimis
Ob consanguineam caritatem pos.
Vixit An. L. Quor. uiginti
Ferdi. Cath. Regis Auspitijs;
reliquos in Car. Cæs. obsequijs
expendit.
A Virginis partu. M. D. xxx.
V. Idus Decembris.

Risona in lingua volgare:

“Tutti andiamo qui ala morte. Viatore, la pietra che calpestri a Giovan Riberio spagnolo, homo di singularissimo essempio, fortissimo capitano [99r] et mastro di campo prudentissimo, Consalvo Riberio con lagrime sparse per la congionta carità l’ha posto.
anni cinquanta, venti de’ quali negli favori di Ferrante re catholico, e li restanti negli ufficii di Carlo imperatore consumò. Dal parto dela Vergine mille cinquecento trenta, a’ nove di decembre”.

Nella detta chiesa dala parte destra della cappella maggiore, e proprio al’incontro dela cappella dove sta la immaggine del re Alfonso, è un sepolcro di marmo con lo sotto scritto epitaphio:

Hospes mirare sepulti fidem:
Hìc, dum Arcis Parthenopeæ à diuo Alfonso
Aragoneo præfectus, classica, & terrestri
obsidione præmeretur, ne fidem pollueret,
exhausto iam ærario, imminentia capitis
pericula, spontè negligens, fædum mularum,
& canum esum non respuit; quin duobus
fratribus captiuis ab hoste oppositis,
ne tormentorum ictus increbescerent,
socio sanguini fortitudinem præferens,
à proposito non est abductus.
deinceps mortuo Rege, frangendæ fidei inclito
Ferdinando, uberrima multorum præmia ludibrio
Habuit.

[99v]

Vol dire in lingua volgare:

“O tu che passi, maravigliati della fede di quel ch’è qui sepolto. Questo, essendo nel Castello di Napoli dal re Alfonso de Aragonia fatto castellano, mentre per mare e per terra era assediato, acciò non macchiasse la fede, essendo già mancata la provisione del vitto, volentiermente spreggiando li pericoli dela vita i quali soprastavano, non recusò il brutto cibo de’ muli e de’ cani, anci essendoli da’ nemici contraposti dui fratelli preggioni, acciò le percosse delle artigliarie non frequentassero, proponendo la fortezza al proprio sangue, non fu mosso dal proposito. Dopo morto il re, dispreggiò l’abundanti premii di molti, che volevano havesse rotta la fede al’inclito Ferrante”

Nel medesmo luogo al’incontro del sopradetto sepolcro ne è un altro pur di marmo, nel qual è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

M. S.
Vgoni Pepulo Comiti Bononiensi,
qui cum ad Familiæ dignitatem, et splendorem, non domesticas
tantùm uirtutes, sed bellicæ etiam laudis decus adiunxisset;
in maximis expeditionib. consilio
atq. animi magnitudine proximum sibi summis
Imperijs gradum, & insigne apud cunctas
Europæ nationes nomen meruit.
florente gloria, & ætate sua extincto.
Philippus Pepulus Comes Fratri D. S. O. M. mærens pos.
[100r] Vixit An. xiiij. M. iiij. D. ix.
Obijt capuæ, V. Kl. Septembris. M. D. XXViij.
O semper inimica & inuida, proficienti
Ad summam gloriam, uirtuti Mors.

In volgar lingua vol dire:

“Manibus superis”
Cioè: “Ali dei superiori.
Ad Ugone Pepulo conte bolognese, il quale havendo aggionto alla dignità e splendor di sua famiglia non solo le virtù di pace, ma anchor l’honore dela laude della guerra, nelle grandi espeditioni con consiglio e grandezza d’animo, grado prossimo ai sommi imperii, e nome illustre appresso tutte le nationi d’Europa si meritò. Essendo morto nell’età de gloria florida, Felippo Pepulo conte, contristandosi, al fratello di sé ben meritevole fe’ questo sepolcro.
Visse anni quaranta tre, mesi quattro e giorni nove. Morì a Capua ali venti d’agosto nel mille cinquecento venti otto. O morte, sempre inimica et invidiosa alla virtù, la quale camina ala somma gloria”.

Dentro il choro di sopra le sedie è una tomba coverta di velluto con un cartiglio di marmo di sopra, ov’è scolpito lo sotto scritto [100v] epitaphio:

Flebile Amici obsequium.
Pierides tumulo uiolas, Venus alma hyacinthos,
Balsama dant Charites, cinnama spargit Amor;
Phæbus odoratas lauros, Mars ipse amaranthos;
Nos lachrimas raræ munus amicitiæ.
Alexandri Nouolariæ Comitis,
Iuuenis (proh dolor)
Et bellicis & litterarijs dotibus ornatiss.
Ossa hic quiescunt pro tempore.
Vixit Ann. P. M. xxxiij.
Hìc tantùm mortem doluit, quòd in acie non cecidisset;
Quibus notus sat miserè deploraturus.
Ann. M. D. xxx. Nonis Augusti.

Così risona nel parlar volgare:

“Lacrimevole ufficio d’amico. Le Nimphe porgeno viole al tumulo, l’alma Venere i iacinti, le Gratie li danno i balsami, Amor vi sparge i cinamomi, Apollo gli odoriferi lauri e Marte istesso li amaranti. Noi vi spargemo lachrime, qual sono duono dela rara amicitia.
D’Alessandro conte di Novolaria, giovane (ahi, che dolore!) dele doti dell’armi e dele lettere ornatissimo, le ossa per alcun tempo qui riposano. Visse anni più o meno di trenta tre. [101r] Questo s’è solamente doluto che la morte in la guerra non l’habbi estinto. Assai miserabilmente è da piangere da coloro a’ quali fu noto. Negli anni mille cinquecento trenta, ali cinque d’agosto”.

[104r]

Santo Domenico è una chiesa ufficiata da’ frati predicatori, quali descendono dal detto glorioso santo Domenico, il quale, essendo canonico regulare di santo Augustino, per la voluntà divina lasciò quell’habito con dodici suoi compagni e donò principio con tanto incredibile fervore al detto ordine, nominato al presente l’ordine de’ frati predicatori, quale per papa Innocentio di tal nome terzo fu confirmato nel’anno del Signor mille ducento quindici, nel tempo del quale erano tanti heretici che già havevano corrotta ogni religione. Per la qual cosa il nostro salvatore Giesù Christo, havendo compassione del suo populo christiano, inspirò detto san Domenico a dar principio a questo dignissimo ordine, acciò, insieme con gli altri religiosi, li suoi christiani potessero nela santa fede mantenere con loro dottrina e buoni essempii. E detto santo predicava de continuo a’ populi quello volea la Santa Romana Chiesa, onde papa Innocentio si sonnò una notte che la chiesa di San Giovanni Laterano pareva che cascasse, e lo detto santo Domenico con un gran numero de’ frati suoi la tenesse per non farla ruinare. Pensò il papa che detto san Domenico havea da tenere la Chiesa Catholica, che non si ruinasse per l’heresie. La matina, destato che fu, fe’ [104v] chiamare detto glorioso santo e lo mandò a Tolosa per una certa nuova heresia che.llà era cominciata, e così con la gratia de Dio in brevi giorni l’estinse e se ne ritornò in Roma. Doppo, succedendo papa Honorio di tal nome terzo, et intendendo la santissima vita di detto glorioso santo e la mirabil sua scienza, con consenso de tutti li cardinali confirmò dett’ordine; et ancho detto summo pontefice fu caggione che in diverse parte dela christianità s’edificassero molti conventi di tal religione. E dopo, detto santo visse circa anni sei, et, bene edificati li fratelli e con dottrina e buoni essempii, fatti molti miracoli, passò ala vita eterna stando in Bologna a’ cinque d’agosto mille ducento venti tre; e da papa Gregorio di tal nome nono, per la sua santissima vita e miracoli fu aggregato al numero de’ santi confessori. E questo basti per dar notitia del principio de’ frati predicatori.

Detta chiesa di San Domenico è sita appresso il seggio di Nido, ufficiata al presente, tra frati, diaconi e conversi, circa cento, et have d’intrata circa ducati dui milia e cinquecento, incluse le massarie che possedeno. Avante di re Carlo Secondo d’Angiò era una piccola chiesa sotto il titolo di Santo Archangelo, ufficiata per li monaci di santo Benedetto, a’ quali presideva un abbate, nominato don Marco, como appare nelle scritture di quel tempo conservate per detti frati predicatori; quali all’hora furo mandati dal sommo pontefice a predicar in questa città di Napoli, ove predicaro con tanto fervore e carità che, con la gratia di nostro signor Dio e con loro essemplarità, fecero molto profitto ali popoli, et per detta causa li fu concessa detta chiesa di Sant’Archangelo. Dopo fu consecrata per papa Alesandro di tal nome [105r] quarto nel’anno dela salute mille ducento cinquanta cinque, como appare per una inscrittione scolpita in uno quadro di marmo posto nela fenestra del capitolo di detta chiesa; dapoi fu ampliata et magnificata per re Carlo Secondo. Non è necessario narrare li illustri di detta religione, noti a bastanza per che detta religione è stata abondante de letteratissimi huomini et dotti predicatori, quali hanno con le sue parole fatto assai frutto.

Nella detta chiesa è una bellissima libraria, quanto sia in tutta Italia, ove sono infiniti libri, et ale mura sono depinti li Angeli, quali dimostrano con le mani la varietà delle scienze. Quivi nella chiesa continuo si cantano gli ufficii divini diurni e notturni devotissimamente, et generalmente si ce predica da dottissimi predicatori.

Nel cortiglio di detta chiesa ci sono le Scole Publiche, dove si legge ordinariamente da dottissimi dottori pagati dala Regia Corte, quale sempre elige deli megliori d’Italia, ove continuo si fanno circuli di studenti, li quali, per lo frequente habito dele dispute, si fanno dottissimi in qualsivoglia scienza in questa nostra città.

Nela detta chiesa sono molte reliquie, però non par necessario narrarle tutte per non esser prolisso; ma non ho da tacere del braccio del glorioso et angelico dottore santo Tomaso d’A[105v]quino nostro napolitano, qual teneno coperto d’argento con molta reverenza e veneratione; et ancho vi è un libro di carta pergamina, scritto di mano dello detto angelico dottore, sopra Dionisio Areopagita De celesti hyerarchia. Vi è anchora una bella cappella ove sta un Crucifisso antico in un quadro di tavola, al quale de continuo detto angelico dottore soleva far sua oratione; nela qual cappella, per grandissima devotione di detto glorioso santo, ci concorreno a cercar gratie con grandissima veneratione le donne nostre napolitane, et generalmente sono esaudite delle gratie che dimandano.

In detta chiesa sono molti sepolcri di marmi et sepolture, nelle quali vi sono belli epitaphii. Et primo incominciando dala cappella maggiore, vi sono dui superbi sepolcri di marmi, et in quello sta a man destra vi è il mortale di re Filippo imperador di Constantinopoli, qual fu figliuolo di re Carlo Secondo d’Angiò, et vi sono scolpiti li sotto scritti versi per epitaphio:

Hìc pius, & fidus, hic Martis in agmine sidus,
Philippus plenus uirtutibus atq. serenus,
Qui Caroli natus, qui Franca de gente secundi
Regis secundi Regina Matre creatus
Vngariæ, siue uir natæ femine diuæ
Regis Francorum Catherinæ postrenuorum
[106r] Qua Constantinopolis extitit Imperator,
Atq. Tarentini Princeps dominatus amator,
Nostre tamen Pater strenuus ac ictibus acris
Acaye Princeps cui Romaniæ deinceps
Tanq. Despoto titulo fuit addita noto
Inclitus, & gratus tumulo iacet hìc trabeatus
Pius qui magno solio migrauit in anno
Christi Milleno trecento ter quoque deno
Bino. December erat eiusdem sexta uicena
Facta dies inerat Inditio quintaque dena.

Risonano così in lingua volgare:

“Questo è il pio fidele, quest’è un’altra stella nella schiera di Marte, Felippo sereno e pieno di virtù, figlio di Carlo Secondo re di francesi e della regina d’Ungaria, marito di Catherina figlia del re di valorosi francesi, per la quale fu imperatore di Costantinopoli, et anchora prencipe amorevole del Principato di Taranto, nondimeno padre e principe valoroso per le forti percosse della nostra Achaia, a cui dopo li fu aggionto la Romania con titolo noto come a vero signore. Hora nobile et grato con la veste imperiale giace in questo sepolcro; il quale si partì dalla sua grande regal sede nel’anno di Christo mille trecento trenta dui, nel giorno venti sei di decembre della indittione quintadecima”

Nell’altro sepolcro dala parte sinistra sono scolpiti li sequenti versi per [106v] epitaphio:

Dux Duracensis Regali è stirpe Ioannes,
Atq. Comes dignus Grauinæ, mente benignus,
Ac Albanorum Dominus, correptor & horum,
Angeli Montis sancti dominator honoris
Princeps discretus, mira pietate repletus;
Francia, cui patrem confert, Vngaria matrem;
Sancta de gente generatus utroq. parente.
Hìc iacet illustris, uitæ clausis sibi lustris,
Anno Milleno, quo Christus corde sereno,
Et tricenteno perfulsit, ter quoque deno
Quinto migrauit, cælestia qui properauit.
Tertia præstabat Inditio quæ numerabat.
Oramus Christe cæli dux inclitus iste
Viuat in æternum, Patrem speculando supernum.

Quali risonano nel volgare così:

“Giovanni duca di Durazzo, di stirpe regale, degno conte di Gravina, quale con mente benegna fu signore e correttore degli albanesi, honorato padrone del Monte de Sant’Angelo, principe discreto et pieno di meravigliosa pietà, il cui padre fu di Francia, la madre di Ungaria, nato da l’uno e l’altra di gente santa, giace qui, finiti li anni dela sua illustre vita nell’anno mille trecento trenta cinque dopo che Christo resplendette; quando esso andò ali celesti regni era l’inditione terza.
Christo Signor del cielo, [107r] te preghiamo che questo duca nobile viva sempre contemplando il tuo superno Padre”.

Nella detta cappella maggiore dala parte sinistra è ancho una tomba col suo trabacchino di velluto et tela d’oro, ove è il mortale del’illustrissimo Marchese de Pescara, qual fu valorosissimo capitano generale di Carlo Quinto imperatore, chiaro per molti soi fatti gloriosi, sopra di quale è posto un cartiglio con li sotto scritti versi per epitaphio:

Virtutum, Ausoniæ, Martis, flos, gloria, fulmen
Hoc Ferrandus olet, colitur tumuloq. refulget;
Liuida quem lachesis telo demersit acerbo:
Is modò sed cœlos aurataq. sidera calcat

Questo dicono in volgare:

“Ferrante come fior de virtù odora, come gloria d’Italia s’adora, come fulgore di Marte risplende in questa tomba. Il quale la palida parca Lachesi con acerba sagetta cercò mandare al fondo; ma egli hora calca i cieli e le aurate stelle”

Nella sacrestia di detta chiesa sono molte altre tombe con suoi trabacchini di velluti e tele d’oro. In una sopra la porta giace il mortale di re Alfonso Primo di Aragonia, come dechiara il suo cartiglio con questo [107v] distico:

Inclitus Alfonsus, qui Regibus ortus Hyberis
Hìc, Regnum Ausoniæ primus adeptus, adest.
Obijt. M.CCCCLVIII.

Quale dice così:

“Qui è l’inclito Alfonso, il quale dali regi di Spagna nato, del Regno d’Italia primo fe’ conquista. Morì nel’anno mille quattrocento cinquanta otto”

Appresso è la tomba di re Ferrante Primo, come fa fede nel suo cartiglio questo distico:

Ferrandus senior, qui condidit aurea secla,
Hìc fælix Italum uiuit in ore uirùm.
Obijt. M.CCCCXCIIII.

Cioè:

“Ferrante Vecchio, qual fu auttore del secol d’oro, vive qui felice in bocca deli italiani. Morì nel’anno mille quattrocento novanta quattro”

Nella sequente tomba di re Ferrante Giovane è nel cartiglio questo [108r] distico:

Ferrandum Mors seua diu fugis arma gerentem;
Mox positis (quæ nàm gloria?) fraude necas.
Obijt. M.CCCCXCVIII.

Risona in questo modo:

“Morte crudele, tu longo tempo fugi Ferrante armato; dopo, deposte le armi con fraude, l’uccidi: hor, che gloria? Morì nel’anno mille quattrocento novant’otto”

Segue poi un’altra tomba dela regina Giovanna sua consorte, ov’è un cartiglio con lo sotto scritto distico:

Hospes Reginam Ioannam suspice natam,
Et cole, quæ meruit post sua Fata coli.
Obijt. Ann. M.D.XVIII.

Vol dire in lingua volgare:

“O peregrino, guarda Giovanna nata regina, e falli honor che ’l merita dopo sua morte. Morì nel’anno mille cinquecento dieceotto”

[108v]

Sequita l’altra tomba della Duchessa di Milano con lo suo cartiglio, ove sono scolpiti li sotto scritti versi per epitaphio:

Hic Hisabella iacet centum sata sanguine Regum,
Qua cum Maiestas Itala prisca iacet.
Sed quæ lustrabat radijs regalibus orbem
Occidit, inq. alio nunc agit orbe diem.
Obijt Ann. M.D.XXIIII.

Vol dire in parlar volgare:

“Qui giace Isabella, nata dal sangue di cento regi, con cui la antica maestà d’Italia giace; ma colei che lustrava coi regali raggi il mondo è morta, et nell’altro hemisperio mena il giorno. Morì nell’anno mille cinquecento venti quattro”

Appresso è l’altra tomba, ov’è posto il mortale del’illustrissimo don Antonio d’Aragonia, duca di Mont’Alto, con lo suo cartiglio, ove sono li sotto scritti versi in dialogo per epitaphio:

Dormis an uigilas Antoni? sector utrumq.
Ossa quidem primum, sed uirtus fama secundum.
[109r] Sanguine quo cretus? Genitor quis? quid ue moraris?
Stirpis Aragoniæ, Ferrandus, iudicis horam.
Obijt Ann. M.D.XLIII.

Vol dire in lingua volgare:

“Dormi o stai desto, Antonio? Seguo l’uno e l’altro. L’ossa fanno il primo, cioè dormino, ma la virtù e fama fanno il secondo, cioè vegliano. Di che sangue sei generato? Chi fu tuo padre? Et che aspetti? Sono dela stirpe d’Aragonia, Ferrante era mio padre, et aspetto l’hora del Giudice. Morì nel’anno mille cinquecento quaranta tre”

Nella detta sacristia sta una tomba ove giace il corpo del figliuolo del sopradetto don Antonio duca di Mont’Alto, nominato don Pietro d’Aragonia, con un cartiglio con li sottoscritti versi per epitaphio:

Cernis Aragonæi Petrum non ignobile culmen;
Antoni sobolem, qui scire cupis omen.
Puer & ipse rarus uigens in sede Paterna,
Venit cum immitis Atropos ipsa sibi.

Voglion dire così in volgare:

“Tu, il quale desideri saper l’augurio, questo che risguardi è Pietro, genitura et altezza di Antonio di Aragonia. Costui era un putto [109v] raro et stava in prosperità nela paterna sede quando venne a lui la crudel Parca”

Vi sta ancho un’altra tomba, nella quale giace il corpo del Duca di Gravina, con lo cartiglio ove sono li sotto scritti versi per epitaphio:

Grauinæ Ducem mostrat tibi, Candide Lector,
Serica tuba præsens Vrsina de gente Ferrandum.
Graueis inter turmas tenuit Hìc non ignobile pondus,
Venit cùm exacta Lachesis ipsa sibi.
Obijt Ann. M.D.XLIX.

Così risona in lingua volgare:

“Candido lettor, questa presente tomba di seta dimostra a te Ferrante della gente Ursina, duca di Gravina. Costui tenne non poco carrico tra le gravi squadre; la Parca venne a lui nel fine del’opra. Morì nel’anno mille cinquecento quaranta nove”

Quando si va all’altar maggiore, dala parte destra è una cappella della illustre famiglia de’ Carrafi, ove sta una tomba coverta di velluto negro, nel quale è il mortale d’una donna di detta famiglia, con li sotto scritti versi in un cartiglio per [110r] epitaphio:

Gentis Carrafæ sidus, spes una Mariti
Viua fuit; posthac mortua luctus erit.
Antè diem cessit magnis gratissima diuis
Portia, quæ laudes urbis, et orbis erat.
Nunc ornat Cælum radijs fulgentibus astrum,
Et micat ardenti lumine propè Iouem.

Così dicono in volgare:

“Dela famiglia de’ Carrafi stella e sola speranza del marito fu, essendo viva. Da hora avanti, essendo morta, sarà pianto. Si partì primo del natural corso, essendo gratissima ai grandi dei, Portia, la quale era lode della città et del mondo; hora stella con li soi fulgenti rai orna il cielo e resplende de ardenti lumi appresso a Giove”

Nella cappella del reverendissimo Vescovo d’Ariano, al presente cardinale illustrissimo, è un sepolcro di marmo ov’è il mortale del patriarcha Carrafa con lo sotto scritto epitaphio:

Ossibus, et memoriæ Berardini Carrafæ Episcopi
& comitis Theatini, Patriarchæ Alexandrini, positum.
Hieronimus Carrafa fratri unanimi cum
lachrimis fecit.
Vixit Ann. XXXIII.
[110v] Morte iudicante satis eum uixisse diu, cui nihil
ad nullam uel uirtutis, uel prudentiæ aut litterarum
laudem addi ulterius posset; contra grauiter
conquerente Fortuna, erectam sibi facultatem
ampliss. honoris, quem iam apparauerat illi deferendum,
Fato functus est, Anno salutis Christianæ.
M.D.V.

Così dicono nel comun parlare:

“All’ossa e per memoria di Berardino Carrafa, vescovo e conte di Civita di Chieti, patriarcha d’Alessandria, Gerolamo Carrafa al fratello suo unanime con le lachrime fece il sepolcro.
Visse anni trenta tre.
La Morte, giudicando assai e lungho tempo haver vissuto quello, al quale niente più oltre si poteva aggiongere ad alcuna laude o de virtù o de prudenza o de lettere, dall’altra parte lamentandose la Fortuna esserli tolta la facultà di donarli amplissimo honore, che già l’havea apparecchiato, terminò il suo corso fatale nell’anno della nostra salute mille cinquecento e cinque”.

Nella medesma cappella è una sepoltura di marmo al piano al’intrar dela porta, con lo ritratto d’un vescovo vestito pontificalmente, e fu scolpito a tempo che il detto cardinale era vescovo, et già sta como veramente havesse resa l’anima a Dio; et vi è scolpito lo sotto scritto distico sotto li soi piedi per [111r] epitaphio:

Viuit adhuc, quamuis defunctum ostendat imago;
Discat quisq. suum uiuere post tumulum.

Cioè:

“Vive anchora, benché l’imagine el mostri morto; impari ciaschuno a vivere dopo la morte”

Nella medesma cappella è un’altra sepoltura tonda nel piano, di marmo negro, con questo detto laconico per epitaphio:

Terra tegit terram.

Sententia notanda, per che l’huomo mortale non è altro che terra, com’havemo nel Genesi che Iddio creò l’huomo del limo dela terra; et il profeta Geremia dice: “Perché t’insuperbisci, tu, terra e cenere?”. Per questo vol significare che la terra, cioè la sepoltura, copre la terra, ch’è lo corpo humano.

Nella cappella di Malitia Carrafa, che sta a man destra dela nave quando si camina verso la porta grande, ci è un sepolcro di marmo con li sequenti versi scolpiti per [111v] epitaphio:

Auspice me Latias Alfonsus uenit in oras
Rex pius, ut pacem redderet Ausoniæ.
Natorum hoc pietas struxit mihi sola sepulchrum,
Carrafæ dedit hæc munera Maliciæ.

Così risonano nel volgare:

“Con li mei favori Alfonso, re pio, venne nelli paesi d’Italia per dare ad essa pace; la pietà sola de’ mei figliuoli mi ha edificato questo sepolcro et diede questo dono a Malicia Carrafa”.

Al’incontro dela porta più piccola de detta chiesa ci è una cappella con un sepolcro di marmo, ov’è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Antonius Rota, & Lucretia Brancia uiui sibi
Monumentum posuère, ut qua uixère concordia,
et mortui quoq. unà conquiescerent; neuè
eorum inquietarentur ossa, cauerunt ne
quis omninò monumentum sequatur;
Benè uiuant boni coniuges, benè etiam moriantur.
M.CCCC.LXXXVII.

Risonano in lingua volgare:

“Antonio Rota et Lucretia Brancia vivi questo monumen[112r]to si posero, acciò con qual concordia vissero, morti anchora insieme si riposassero; et ancho, acciò che le loro ossa non fussero inquietate, prohibirno che in niun modo alcuno questo monumento conseguisca. Ben vivano e bene anchora morino li buoni consorti. Ali mille quattrocento ottanta sette”

Prossimo ala porta mezzana li giorni passati vi fu fabricato un sepolcro, dove è posto il mortale dela signora Portia Capece, moglie che fu del famoso signor Berardino Rota, con lo sotto scritto epitaphio:

Portia Capicia
Viua gaudium,
Mortua Mariti gemitus,
Heìc sita est.
Bernardinus Rota
Perpetuò merens,
Perpetuò lachrimans,
(Proh dolor)
Quantum fuit carissima.

Voglion dire in volgare:

“Porcia Capece, viva gaudio del marito, morta pianto, qui è posta. Berardino Rota, perpetuamente mesto, perpetuamente lachrimando (hai dolore) quanto li fu carissima”

[112v]

Dentro la gran Cappella del Crucifisso di santo Thomaso d’Aquino, al’intrar dala parte

destra, in un sepolcro di marmi è scolpito lo sotto scritto epitaphio:
Marianum Alaneum.
Bucclanici comitem domi
Miltiaque clarissimum;
& Katarinellam Vrsinam
Pudicitia insignem, coniuges
in uita concordissimos ne
Mors quidem ipsa
Disiunxit
Liberi pientissimi ut parentes
optimi iunctim sicut optauerant
conderentur curauer.
M.CCCC.LXXVII.

Qual dice in volgare:

“Non è stata bastevole la Morte a separare Mariano de Alagni conte di Bucchianico, chiarissimo nella casa et nela guerra, et Catarinella Ursina de nobile castità, marito e moglie di somma concordia.
Li pietosissimi figli hanno havuto pensiero di farli riporre insieme, così como essi ottimi haveano desiderato, nel mille quattrocento sittanta sette”.

[113r]

Appresso al detto sepolcro ne è un altro assai superbo di bellissimi marmi, ov’è scolpito

lo sotto scritto epitaphio:
Placito Sangrio
Aequiti optimo,
Ob fidem in grauissimis rebus
Domi militiáque probatam
Alfonso & Ferdinando
Neapolitanorum Regibus
Inter primos maximè accepto
Bernardinus filius
offitij &
debitæ pietatis non immemor
obijt. M.CCCCLXXX.

Dice nel volgare:

“A Placito de Sanguine cavallier ottimo, per la fede dimostrata nelle cose importantissime della casa et della guerra ad Alfonso et Ferrante, re de’ Napolitani, tra li primi carissimo, Berardino, figlio non dismenticato del suo officio e della dovutà pietà. Morì nel mille quattrocento ottanta”

Prossimo al’altar del Crucifisso, dala medesma parte destra quando s’entra, è un altro bel sepolcro de marmi con l’armi del’illustre [113v] famiglia de’ Carrafi, ov’è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Huic
Virtus gloriam,
gloria immortalitatem
comparauit.
M.CCCCLXX.

Cioè:

“A questo la virtù hav’acquistato gloria, et la gloria l’immortalità. Ali mille quattrocento sittanta”

Al’incontro di quello, dala parte destra del’altar del Crucifisso, è un altro simil sepulcro con lo sotto scritto eptaphio:

Par Vitæ
Religiosus Exitus.
Francisco Carrafa æquiti Neap. insigni;
Christianæ religionis obseruantiss.
qui summa omnium mortalium
beneuolentia ac ueneratione
ætatis annum agens lxxxiiij, obijt,
senij nunquam questus.
Oliuerius Car. Neap, parenti optimo
pos.

[114r]

Dice questo in volgare:

“Il fine è stato religioso simile ala sua vita. A Francisco Carrafa, honorato cavalier napolitano, osservantissimo dela religione christiana, il quale con grandissima benevolentia et veneratione de’ mortali, essendo de anni ottanta quattro, morì non mai lamentandose della vecchiezza. Oliverio cardinal napolitano al’ottimo padre ha posto questo sepolcro”

Nela Cappella della Natività, prossima al detto sepolcro, è un altro bellissimo sepolcro di marmi, ov’è posto il mortale del mai a bastanza lodato Hettore Carrafa conte de Ruvo, et vi è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Hector Francisci fil. Carrafa Ruborum Comes,
Qui Alfonsi II. Neapolitanor. Reg.
cubiculo exercituiq. præfuit;
cui perpetua cum fide obsecutus est
domi forisq.;
Christi incunabula Virgini matri dedicauit,
et monumentum hoc uiuus sibi fecit.
An. M.D.XI.

[114v]

Dice così in volgare:

“Hettore Carrafa, figlio de Francisco, conte di Ruvo, il quale fu primo nella camera et nel’essercito de Alfonso Secondo re de’ napolitani, il quale in casa et fuore con continua fideltà have sequito, ala Vergine madre ha dedicato il nascimento de Christo, et vivo ha posto a sé questo sepolcro nel’anno mille cinquecento et undici”

Nel’altra cappella appresso, prossima ala porta della Cappella del Crucifisso, sono più sepolcri dela nobil famiglia de’ Doci, et primo al’intrar a man destra è un sepolcro di marmi con lo sotto scritto epitaphio:

Raynaldo uiro nobili ex Ducis familia,
militari disciplina & uitæ integritate
Alphonso priori Neap. Regi probatissimo;
ac præsidij eius Præfecto.
Antonina Tomacella socero suo opt.
multis cum lacrimis pos.
Vix. Ann. LxxVII.

[115r]

Qual così risona:

“A Rainaldo, huomo nobile dela famiglia de’ Doci, per l’arte dela guerra et per l’integrità dela vita accettissimo ad Alfonso Primo re di Napoli, et capitanio di sua guardia. Antonina Tomacella al suo ottimo socero con molte lacrime ha posto questo sepolcro. Visse anni sittanta sette”

Nela medesma cappella al’incontro del sopradetto è un altro sepolcro di marmi, ov’è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Hìc labor Extremus.
Ioanni Bap. ex patritia Ducum famil.
non minus apud Reges Aragon.
amor. gloria, q. fidei præstantia clariss.
Antonina Tomacella
mutuæ caritatis caussa;
unicum tot lacrimarum solatium
uiro opt. ex suo monumentum pos.
Cauitq. ne præter se quisquàm inferatur;
ut cui puellula nupserat,
& quicum sine iurgio semper uix,
post fata quoq. perpetuò copuletur.
Interceptus mortalitate
An. agens lxij. men. Viiij. Dies. xiiij.
[115v] A Virgineo partu M.D.XIX.
V. cal. Octobr.

Dice così nel volgare:

“Quest’è l’ultima fatica.
A Giovan Battista dela nobil famiglia de’ Doci, non meno chiarissimo appresso li regi de Aragonia per gloria de amore che per grandeza de fede. Antonina Tomacella per causa de mutua carità al marito ottimo ha posto del suo questo sepolcro, unico refrigerio de tante lacrime, et ha ancho havuto pensiero che fuor di sé nisciun altro ve sia sepolto, accioché perpetuamente sia congionta a quello al quale giovanetta fu maritata e col quale visse sempre senza rumore. Fu tolto dal mortale essendo de anni sissanta dui, mesi nove e giorni quattordeci, dal parto dela Vergine mille cinquecento diecenove, ali ventisette de settembre”.

Nella detta cappella dela nobil famiglia de’ Doci è una sepoltura in terra con lo sotto scritto epitaphio:

Vt se reseminat Ales.

Sentenza bellissima laconica perché, sì come la fenice nell’oriente, brusciandosi et incenerandosi, rinasce et si rinova, così noi, morti nela sepoltura, ce torniamo a seminare e nel dì del giu[116r]ditio risuscitamo a vita immortale.

Uscendo da detta Cappella del Crucifisso, al’incontro sta una cappella guarnita da tre parte di cancelli di ferro, quale è della nobil famiglia di Muscettoli, in la quale ci è una tomba coperta di velluto negro, et vi è scritto al muro lo sotto scritto epitaphio:

Siste sic Coniux dulcissime ut nos uel humus
Ne quaq. separet, sed una tandem nos tegat urna.
Ioannellæ Maramaldæ coniugi optimæ, cum qua
Vixit Ann. xxi. Mens. VII & dies VIII.
Nihil de ea nisi mortem doliturus.
Io. Antonius Muscettola indefesso mærore pos.

Dicono in lingua volgare:

“Fermati così, consorte dolcissima, accioché né pur la terra separare ne possa, ma che una sol urna ne cuopra. A Giovannella Marramalda moglie ottima, con la quale visse anni venti uno, mesi sette et giorni otto, Giovan Antonio Muscettola, che non si può doler d’altro d’essa se non ch’è morta, con eterno dolore l’ha posto questo sepolcro”

Dopo morto detto Giovanne Antonio li fu fatto lo sotto scritto epitaphio:

Ioanni Antonio Muscettulæ Patritio Neap.
Domi forisq. Clariss.
[116v] Carolo. V. Cæsari à consilijs interioribus, cuius præter omnium disciplinarum cognitionem, æloquentiam, & in negotijs dexteritatem æquare nemo potuit; qui ter ad Clementem VII. Pont. Max. magnis de rebus legatione pro Cæs. habita; ne debitos iamq. oblatos uirtutibus suis honores adiret, Mors importuna obstitit.
Moritur Ann. M.D.XXXIII.
Camillus Frater. B. M .F. Vixit. Ann. XLVII.

Dice in volgare:

“A Giovan Antonio Muscettola, gentil’huomo napolitano, chiarissimo in casa et fuora, a Carlo Quinto imperatore secreto consigliere, la cui eloquentia e la destrezza neli negotii più ch’altri, oltra la cognitione di tutte le discipline, niuno l’ha possuto paregiare; il quale tre volte a Clemente Settimo pontefice massimo per trattar gran cose fu da Cesare mandato, però l’importuna morte repugnò al consequire li debiti a sé offerti doni per le sue virtù. Morì l’anno millecinquecento trenta tre. Camillo frate al ben meritevole fece la sepoltura. Visse anni quaranta sette”

Nella medesma cappella ci è una altra tomba, coperta di seta bianca, ov’è un figliolo del signor Giovan Francesco suo figlio, et in un cartiglio lo sotto scritto distico per epitaphio:

Flos tener hìc languet, qui, ni cecidisset ut urna &
Nomine, sic magna laude niteret Aui.

[117r]

Dice in volgare:

“Qui languisce un fior tenero il quale, si non fusse cascato, così come dell’urna e del nome, così dela gran lode dell’avo suo risplenderia”.

Nell’ultima cappella della nave, a man sinistra quando si va alla porta maggiore, sotto il titulo dela Magdalena, il nobile e devoto Giacobo Brancacio fe’ una sepoltura nel mezo al piano, ov’è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Iacobus Brancatius Arecchi filius
humi sepulturæ locum delegit, Cauitq.
ut si quis in sublimi condi maluerit,
tanquam exhæres iure sacelli excidat.
M.D.L.

Vol dire in lingua volgare:

“Giacobo Brancacio, figlio d’Arecco, nella terra scielse il luogo dela sepoltura et comandò che, si vorrà in alto alcuno più presto essere sepolto, caschi come exhereditato dalla ragione della cappella”

Fuora de ditta cappella al piano sta una sepoltura longa di marmo, ov’è scolpito lo sotto scritto [117v] epitaphio:

Mortales, an scimus quid futura nobis dies
promictat? natalem & locum, & diem scimus,
sepulturæ nescimus. Blancina mihi nomen est,
Barcellona patria; hæc dum bello grauius premitur,
ipsa liberos ut uiserem Neapolim profecta sum,
ubi dum quinquennium exigo, supremus mihi
dies affuit; condi hìc uolui, neminemq. sepulchro
hoc inferri caui, nullius mecum cineres
misceri passura.
Blancina Barzellonensis hìc posita est.
quæ obijt. XXIIII. Iulij. M.CCCCLXIX.
Vixit Ann. LXXX. quorum. LX. sine querela exegit
cum Iacobo Ferraro coniuge concordissimo.
Io. fil. posuit.

Vol dire in volgare:

“Forsi noi mortali sapemo che ne prometta il giorno da venire? Del nostro nascimento et il luogo et il giorno sapemo; dela sepoltura non sapemo. A me è il nome Blancina, la patria Barcellona, quale mentre gravemente è dala guerra vessata, io in Napoli per vedere mei figli venni, ove, mentre meno il quinto anno, qui mi sopragiunse l’ultimo giorno; qui volsi essere riposta. Et ho prohibito che nesciuno in questo sepolcro sia posto, non havendo [118r] da sopportar mai le ceneri d’alcuno mescolarsi con le mie.
Qui è posta Blancina di Barzellona, qual morì ali ventiquattro di giuglio mille quattrocento sissantanove. Visse anni ottanta, de’ quali sissanta senza lamenti passò con Giacobo Ferraro, marito concordissimo. Giovanni figliuolo fe’ porre questa sepoltura”.

Nella medesma chiesa, quando s’entra dala porta maggiore, nell’ala da man sinistra sta una sepoltura al piano, nella quale sono scolpiti li sotto scritti versi per epitaphio:

Quid me Felicem uani dixère parentes
Si mihi Morte fuit Vita molesta magis?
Nil bene successit; patrias moriturus ad oras
Dum propero, hìc sepellit Parthenopea senem.

Che risonano in volgare:

“Perché il mio padre e la mia madre, bugiardi, me chiamorno Felice, se a me assai più che la morte la vita fu molesta? Nulla cosa mi successe bene. Mentre io vado per morire alli paesi dela mia patria, qui me, vecchio, Napoli sepellisce”

[118v]

Uscendo dala cappella maggiore, a man destra è una sepoltura longa avante un altare, ov’è scolpito un dottor con un libro aperto in petto e lo sotto scritto distico per epitaphio:

Pro pueris, ideo nostrum non pegma quiescit,
E lachrimis pietas sustulit ossa Patris.

Vol dire in volgare:

“La pietà in luogo dei figli sollevò dalle lachrime l’ossa del padre, et perciò la machina con l’imagine dei nostri gesti non si quieta”

Volendo andar poi verso la porta piccola quando si esce dal’altar maggiore, a man sinistra in un cantone vi sono dui sepolcri di marmo, l’uno sopra l’altro, ma farò mentione de quello sta di sopra, qual volse morire per la città sua, et vi è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Io. Francisco Rotæ
Aequiti pulcherrimè interempto,
Quòd ad Sebethum Flumen
pro Patria armis sumptis
medios inter Hostes
uiam sibi uirtute moriens aperuisset;
[119r] Fratres in egregij facti memoriam pos.
publicis elatus lachrimis
M.D.XXVII.

Vol dire in volgare:

“A Giovan Francesco Rota, cavaliere con honor morto, imperoché pigliate l’arme per la patria appresso il fiume Sebeto, tra mezzo gl’inimici havendosi aperta la via, morendo per forza. Li fratelli in memoria del fatto egregio li fero questo sepolcro. Fu tolto con publiche lachrime ali mille cinquecento ventisette”

Al’uscir dala cappella magiore, dala parte destra in una cappella è uno sepolcro con lo sotto scritto epitaphio:

Quatraginta tribus post Christum mille trecentis
Hinc Comes insignis Iordanus Montis, it Alti
Ad cælum, Calabro genitus de sanguine Ruffo.
Quem sociat uirtutis amans, generosus alumnus
Carolus antiquis titulis uestitus Auorum;
Hic annis obijt quindenis mille trecentis.

Dice così in volgare:

“Il nobile Giordano Ruffo conte de Mont’Alto, nato del sangue calabrese, partito di qua, andò al cielo mille trecento qua[119v]ranta tre anni dopo Christo. È suo compagno nel sepolcro Carlo, amator di virtù, creato nobilmente, vestito deli antichi e nobili tituli deli soi avi; morì questo nel’anno mille trecento e quindeci”

Nel refettorio di detta chiesa, dove si mangia unitamente, è un lavatorio di marmo ov’è scolpito lo sottoscritto distico:

Ne te multa Ceres maculet, blandusq. Bimater,
Qui petis hinc laticem præmonuisse uelim.

Vol dire così:

“A te, che pigli di qui l’acqua, vo’ avanti ammonirti che né il molto cibo né il soverchio vino venga a macolarti”

[173v]

Santo Marcellino è uno monastero di monache posto dirimpetto al palazzo del’illustre Conte de Ruvo, al presente Duca d’Andri. Si tene essere stato fundato nel tempo dell’imperatore Barbarossa, che have circa anni novecento; nel presente ci sono monache quaranta del’ordine di san Benedetto; la loro abbatessa è la magnifica et reverenda sore Portia de Duro; hanno d’intrata circa ducati mille.

Dentro detta chiesa è un’antica imagine del Salvatore de pittura greca in tavola, qual venne da Costantinopoli, secondo appare per la inscrittione scolpita in un cartiglio di marmo che sta fuor la porta di detto mo[174r]nastero, et di sotto sta un trunco di colonna di marmo, et dice in questo modo:

Ne mireris Viator, si columnæ trunchus ipse
hic locatus fuerim; quum Seruatoris immago
ab Imperatore Costantinopolitano, Archiepiscopo
Neapolitano dono missa fuerit, baiuli onere
defessi super me deposuerunt, quam quum
tollerent, nullis uiribus eripi potuit. hoc itaq.
miraculo, eius immago, super Altare diui
Marcellini diuinitus collocatur, quod Siluester
suis literis comprobauit, quam plurimas
concedens indulgentias. M.CCLXXXII.

Vol dir così in volgare:

“Non ti maravegliar, tu che passi, s’io, tronco de una colonna, sono qui locato e posto; atteso ch’essendo stata mandata in duono dall’Imperatore de Costantinopoli al’Arcivescovo di Napoli una immagine del Salvatore, li portatori stracchi dal peso sopra di me la posaro, donde ritor volendola, con niuna forza toglier si puote. Per questo miracolo, dunque, quella immagine divinamente al’altare di Santo Marcellino fu collocata, il che Silvestro con le sue lettere l’approbò, donandoci molte indulgentie, nel’anno mille ducento ottanta dui”

Santo Ligoro è uno monastero de monache del’ordine di san Benedetto, ove sono circa monache settanta, l’abbatessa dele quali è la magnifica e reverenda sore Maria Galiota. Si tene esser stata edificata [174v] dal’imperatore Costantino, del quale le ditte monache hanno fatto et sequitanno fare in ciaschun anno anniversario, sì come fanno le monache di Santa Chiara per re Roberto, fundatore del detto monastero di Santa Chiara. Qual monastero di Santo Ligoro è sito al’incontro di Santo Laurenzo; nel presente haveno d’intrata circa ducati mille e cinquecento, et teneno per reliquie la testa di san Biase et la catena ferrea con che fu incatenato santo Ligoro, alla quale sono portati li spiritati et visibilmente dali circostanti si vede lo spirito partire; che, di vero, detta catena è una reliquia santissima, per vedersi chiaro che li diavoli la fugeno in presentia de tutti; et dette monache teneno preti seculari per la celebratione de.lloro messe.

Nella detta chiesa di Santo Ligoro è una sepultura al piano de uno medico nostro napolitano, qual fu consigliero et familiare del’illustrissimo Roberto re de Gierusalem et dela Sicilia, et vi è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Hìc requiescit Dominus Riccardus Fasanus
De Neap. Miles Medicinal. Scientiæ professor.
Illustriss. Hierusalem & Siciliæ Regis Roberti
Consiliar. & Familiar. Qui obijt Ann. Domini
M.CCCXXXIII. die V. mens. Decembris.
Cuius. A. R. I. P.

[175r]

Vol dire questo in volgare:

“Qui riposa il signor Riccardo Fasano de Napoli, cavaliero, professore dela scientia de medicina, consigliero e familiare del’illustrissimo Roberto re de Gierusalem et Sicilia, il qual morì nel’anno del Signor mille trecento trentatré, nel giorno quinto del mese de decembre dela seconda inditione, l’anima del quale riposi in pace”

[175v]

Santa Maria Donna Romita è un monastero de monache con loro chiesa molto antica, de dett’ordine de san Benedetto, posto prossimo al Seggio di Nido. Sono nel presente da monache quaranta cinque, l’abbatessa de’ quali è la magnifica e reverenda sore Eustochia Pappacoda; hanno d’intrata circa ducati mille e trecento, et teneno preti seculari per la celebratione di loro messe. Non si può havere vera notitia del fundatore; in detta chiesa vi teneno per reliquie la coscia con lo pede di santo Antonio et un poco dela spina fu incoronato Christo per li nostri peccati.

[176v]

Santo Festo è uno monastero de monache sito fra Santo Severino et lo Collegio del Giesù, et ci sono da monache trenta; la.lloro abatessa è la magnifica e reverenda sore Ipolita Mormile; hanno d’intrata da circa ducati seicento; teneno preti seculari per la celebratione de.llor messe, et è monastero molto antico; non si ha possuto havere certa noticia del primo fundatore.

Sant’Archangelo è uno monastero di monache de dett’ordine di san Benedetto, posto un poco più ad alto dela Fontana di Serpi; ci sono nel presente circa monache vinte, l’abbatessa de’ quali è la magnifica e reverenda sore Caterina Gambacorta; tene d’intrata da ducati quattrocento. Nel detto monastero ci sono alcune reliquie, quali non si può sapere di quali santi sono, ma ci era una piccola carrafella piena de sangue, qual sta più duro ch’un sasso, et l’abbatessa havendo desiderio d’intendere di qual martire fusse, et un giorno ragionando con un sacerdote vecchio discoprendo il suo desiderio che teneva, li respose il buono sacerdote: “Sorella mia, non ce è altro che ricorrere al’oratione et [177r] pregare Dio che vi riveli di qual martire sia detto sangue; et poiponitelo in ogni festività di martire con veneratione sopra l’altare et fateci cantare le vespere solennemente di quel martire, che forse nostro signor Dio vi dimostrarà alcun miracolo quando venirà il proprio giorno del martire, del quale è il detto sangue”. Et l’abbatessa, udendo questo santo ricordo, sequì questo consiglio et, venendo il dì della Decollatione de san Giovanni Battista, fecero cantare le prime vespere solenne, come haveano fatto nell’altri martiri, et miraculosamente in detto dì si liquefece, et questo have circa anni sei et così è sequitato in ciascun anno nel dì medesmo dela Decollatione di san Giovan Battista liquefarsi. Et io, desideroso di vedere tanto miracolo, ci fui nel detto giorno, qual è ali 29 del mese de agosto in l’anno 1558 per vederlo, et fu portato una carrafella piccola, piena de sangue duro como un sasso, et lo posero con grandissima veneratione et riverentia sopra l’altare maggiore; e li preti di San Giovan’a Mare cantaro le vespere et, complite di cantare le vespere, si vedde dall’occhi di tutti li circonstanti liquefatto il sangue, che tutti laudaro Dio omnipotente. Et certo è uno gloriosissimo miraculo e gran testimonio di nostra fede che detto santissimo martire, del quale “inter natos mulierum non surrexit maior”, dimostra segno nel giorno che morì per l’amor di Christo, nostro redentore.

[177v]

Santo Sebastiano è uno monastero de monache, quali sono governate dal’ordine di frati di san Domenico. Fu fundato detto monastero da Costantino imperatore, secundo appare per una inscrittione scolpita in un quadro di marmo che sta fabricato avante che s’entri nella chiesa. Qual monastero è posto sopra il palazzo che fu del Principe di Salerno; nel presente vi sono circa monache sissanta; la loro prioressa è la magnifica e reverenda sore Dorotea Vitigliana; hanno d’intrata circa ducati cinque milia, et teneno dieci frati domenichini per fare ufficiare la chiesa, et di vero dette monache viveno religiosamente et di continuo teneno le mano aperte ali poveri; hanno per reliquie la testa di santo Cordua et il brazzo di san Biaso.

Nella detta chiesa, al piano avante l’altare maggiore, sta una sepoltura di marmo, ov’è scolpito lo sottoscritto [178r] epitaphio:

Mariæ Francescæ Vrsinæ Ioannis Manupelli comitis filiæ,
quæ defuncto uiro Ioanne Antonio Martiano Sinuessæ duce;
Quicum sex Annos concordiss. uixerat, neglectis huius uitæ;
illecebris, ut æternam adsequeretur, instaurato auctoq.
sua impensa hoc diuorum Petri, & Sebastiani Regio Mona-
sterio, introducta arctioris uitæ obseruatione, cum se
totam Deo deuouisset. xxx. agens Annum a Monialium
coetu ob morum sanctitatem moderatrix deacta per XXXII
ann. inclusam uitam inculpatiss. transegit. Priorissa
& Moniales auctori santioris uitæ, & reformatrici B. M.
Obijt ann. sal. M.CCCCLXXXIIII. mens. Ian.

Risona in volgar parlare:

“A Maria Francesca Ursina, figlia di Giovanne conte de Manupello, la quale, morto il marito Giovan Antonio Marciano duca de Mondracone, con lo quale havea vissuto sei anni con grandissima concordia, desprezzate le vanità di questa vita per posser consequir l’eterna, restaurato et a sua spesa augmentato questo regal monastero di Santi Pietro et Sebastiano, et ad quello introdutta l’osservantia di più stretta vita, havendose al tutto dedicata a Dio d’età d’anni trenta, per la santità delli costumi dal comune consenso delle monache essendo per loro moderatrice eletta, per anni ventisette passò vita inclusa senza difetto alcuno.
La madre prioressa et le monache alla loro ben meritevole auttrice [178v] et reformatrice de più santa vita. Morì l’anno dela salute mille quattro cento ottanta quattro, nel mese de gennaro”.

Discendendo il grado dela cappella maggiore, al piano è una sepoltura con una donna scolpita di mezzo rillevo, et di sotto li piedi v’è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Hisabellæ Cardonæ, B. VillaMarini Caputaquens. Com.
Regijq. Vicarij, & Admiranti, coniugi; Foeminæ Clariss.
& admirabili Hisab. VillaMar. Salern. Principis coniux,
Matri pos. M.D.XLIX.

Così vol dire in volgare:

“Ad Isabella Cardona, moglie de Bernardo Villa Marino, conte di Capaccio, luogotenente del re et admirante, femina chiarissima et meravigliosa; Isabella Villa Marina, moglie del Prencipe di Salerno, alla sua madre ha posto questo sepolcro ali mille cinquecento quaranta nove”

Nell’altar maggiore dala parte destra è un sepolcro di marmo, nel quale sono scolpiti li sotto scritti versi per epitaphio:

Quæ Gesualdæ e claro de sanguine gentis
Procreor, hoc tumulo nunc Catherina tegor.
Caracciolo felix Petracono coniuge uixi,
[179r] Burgensa titulis nobilitata Comes
Santa fides, castusq. pudor uiolataq. nullo
Vita malo, ethereas spondet adire domus.
M.CCCC.LXXII.

Così si dechiara in volgare:

“Quella Caterina, la quale de chiaro sangue della famiglia Giesualda son nata, son coperta sotto questo sepolcro. Vissi contessa de Burgenso, felice per Petricono Caracciolo mio marito, per tituli et per nobiltà; al presente la santa fede, il casto amore et la vita non violata d’alcun vitio me promettono ch’io vo alle stanze del cielo, ali mille quattrocento sittantadui”

[179v]

Santa Chiara è uno monastero di monache con la sua chiesa regia, posta al’incontro del palazzo fu del Principe di Salerno dala porta dela chiesa. Detta chiesa e monastero fu fundata da re Roberto d’Angiò et fu incominciata nel’anno del Signor mille trecen[180r]to et dece, et fu finita et consecrata nell’anno mille trecento quaranta, secundo appare per le lettere francese che sono nel suo campanile di marmo. Al presente sono da monache trecent’ottanta, et l’abbatessa è la magnifica e reverenda sore Beatrice Paragallo; hanno d’intrata circa ducati sette milia, de’ quali fanno gran bene a’ monasteri poveri et a’ poveri vergognosi, et teneno per uffitiare la chiesa sedici monaci conventuali franceschini.

Nella detta chiesa sta nel’altare maggiore un sepulcro reale di marmi, ove sta il mortale di detto re Roberto, del quale si vede la immagine di marmo, scolpita in maestà, sedere in una sedia reale con lo sotto scritto verso di sotto li soi pedi per epitaphio:

Cernite Robertum Regem uirtute refertum.

Risona in volgare:

“Risguardate il re Roberto, di virtù pieno”

Dala parte sinistra è posto il sepolcro di marmo di Carlo suo primogenito, qual era duca di Calabria et vicario generale de detto re suo padre, qual duca fu grande zelatore et cultore dela giustitia, [180v] che faceva magnare ciascuno al suo piatto, et nel detto suo sepolcro sta scolpito sedere in maiestà et uno vaso tiene sotto li suoi piedi con uno stocco in sua mano et la ponta appoggiata nel detto vaso, e vi sta scolpito una pecora et un lupo che magnano dentro detto vase, che l’uno non offende l’altro, et questo per dimostrare, come di sopra ho detto, che faceva magniare ogni uno al suo piatto; morì nel’anno del Signore mille trecento venticinque, secundo si vede per l’epitaphio scolpito in detto suo sepolcro.

Nell’entrare detta chiesa dala porta piccola, ala prima cappella si ritruova dala man sinistra è un sepolcro di marmo ov’è scolpito una bella figliuola con li sotto scritti versi, composti per lo Epicuro nostro napolitano, poeta celebrato, per epitaphio:

Nata, e, heu miserum, misero mihi nata parenti
Vnicus ut fieres unica nata dolor.
Nam tibi dumq. uirum tedas thalamumq. parabam,
Funera & inferias anxius ecce paro
Debuimus tecum poni Materq. Paterq.,
Vt tribus hæc miseris urna parata foret;
At nos perpetui gemitus, tu nata sepulchri
Esto hæres, ubi sic impia Fata uolunt.
Antoniæ fil. chariss. quæ Hieronymo Granatæ iuuen. ornatiss.
destinata uxor, ann. nondum xiiij. Impleuerat.
[181r] Ioann.Gaudinus & Elionora Bossa Parentes Infeliciss. pos.
Rapta ex eorum complexib. An. Sal. M.D.XXX. prid. cal. Ian.

Così risonano in volgare:

“Figlia, ahi ahi, cosa degna di compassione, figlia nata unica a me, misero padre, acciò havesse a farsi unico dolore, imperoché, mentre a te apparecchiava il marito e lo letto matrimoniale, ecco ch’io ansio t’apparecchio l’esequie; dovevamo madre et padre essere posti teco, accioché quest’urna fusse a tre infelici apparecchiata, ma noi di perpetuo pianto, tu, figlia, sii herede del sepolcro, poiché così vogliono li crudeli fati.
Ad Antonia, figlia carissima, la quale, destinata moglie a Geronimo Granato giovane ornatissimo, non havea anchora forniti quattordeci anni, Giovanne Gaudino et Elionora Bossa, padre e madre infelicissimi, posero questo sepolcro. Tolta dali.lloro abracciamenti nel’anno dela salute mille cinquecento trenta, l’ultimo de gennaro”.

Caminando verso l’altare maggiore, ala prima cappella che si ritrova pur a man sinistra, è una sepoltura nel piano di marmo con una donna di mezzo rillevo scolpita et lo sotto scritto epitaphio:

D. O. M.
Isotta Bautia Pirro Bautio Altæ Muræ principe,
ac Maria Vrsina parentibus inclitis genita, Petri
[181v] Geuaræ magni Regni huius Senescalchi, uxor
prisca matronarum uirtute ornatissima, mortale sui dimidium
sacello in hoc auito deponendum uiuens cur.
Cælestem ad Patriam spe summa et fide ducibus migratura.
Quid non æui longinqua uetustas fortuna obsequente mutat?
Principatus ad alienos sors transtulit.
domina titulos seruauit inanes.
at Fæmina Princeps licet, tot claris orbata & titulis & fortu-
nis, bona tamen animi santissima secum retinuit.
Vixit ann lxx. anno Theogoniæ. M. D. XXX.

Questo vol dire in volgare:

“Isotta del Balzo, figlia di Pirro del Balzo principe d’Altamura e de Maria Ursina, padre et madre incliti, moglie de Pietro Gevara, gran senescalco de questo Regno, molto più ornata per l’antica virtù delle matrone, quel che fu d’essa mortale in questa cappella delli soi antecessori ella vivendo curò fusse posto, havendo da andare alla patria caeleste con la guida della somma speranza et della fede. Che cosa non muta lo longo tempo, favoreggiando la fortuna? Li principati ad altri transferì la sorte, et la padrona li vani tituli servò, ma questa donna principessa, benché privata di tanti chiari tituli e fortuna, nondimeno li santissimi beni del’anima seco ritenne. Visse anni sittanta, nel’anno dal parto de Dio mille cinquecento trenta”

Entrando la porta maggiore, ala prima cappella che si ritrova dala parte destra è un sepolcro di marmo, ov’è scolpito lo sotto scritto [182r] epitaphio:

Tu qui es uia ueritas & uita,
Apenis inferni hunc Ioannem uita,
In te sperauit, in te credit, teq. amauit,
Non confundetur, sed tua uirtute saluetur.
Actu carens uano, fuitq. de Ariano:
Miles & ante Secretarius Sanciæ Sanctæ.

Risona in volgar parlare:

“Tu che sei via, verità et vita, guarda questo Giovanni dale pene del’inferno. In te sperò, in te hebbe fede, te amò; non sia confuso, ma per la tua virtù sia salvato. Fu senza alcuno atto vano, fu d’Ariano, fu cavaliero et primo secretario dela santa Sancia regina”

Nella terza cappella, entrando la porta maggiore, pur dalla parte destra sono doi sepolcri di marmi di marito e moglie; a quello del marito vi stanno scolpiti li sotto scritti versi per epitaphio:

Magnanimus, sapiens, insignis, prouidus, unus
Clauditur hoc saxo, non fama carne sepultus,
Baucia quem genuit clara & generosa propago:
Magnificos qui eduxit auos; sibi baucia tellus,
Mente deum ueritus, Raimundus et ipse uerendus.
[182v] Non terrena fuit potius celestis ymago;
Soletiq. comes; Regni goamerius huius:
Militiæq. decus, uirtutis amator, & omnes
Iure bonos coluit, quantum res pub. lesa est
Morte sua docuit; ad cælica Regna uocatus
Mille fluunt anni CCCLXX.
Quinque simul positis. Inditio dena terq. V.
Augustus tunc Mensis erat; tunc quinta diesq.

Risona nel parlar volgare:

“Si serra in questo sasso il magnanimo, il savio, il grande et prudente, unico Raimondo degno d’ogni honore, qui sepolto con la sua carne, non con la fama; nato dalla chiara et generosa propagine del Balzo, qual ha dati al mondo magnifici predecessori. Questo, qual fu più tosto celeste imagine che terrena, adorò con la sua mente Iddio; fu conte de Soleto, governator de questo Regno, honor dela militia, amator de virtù, et ragionevolmente tutti li buoni honorò; dechiarò con la sua morte quanto da quella rimase offesa la republica. Fu chiamato ali celesti regni al tempo che erano scorsi mille trecento settanta cinque anni, nella tertia decima inditione, ali cinque giorni del mese dedicato ad Augusto”

Nell’altro sepolcro della moglie sono scolpiti li sottoscritti versi per epitaphio:

Iam tenet astrigeris sedes, terrena relinquens
Estrenuis suscecta locis, cæloq. locata.
[183r] Quam premit hic tumulus, tanto bene iuncta Marito
Quantum carminibus celebrat lapis ipse propinquus.
Hæc speculum uitæ fuit, hæc regula morum;
Casta, humilis, miserans, cunctis mansueta, modesta;
Femina non fragilis, sed uerius alma uirago.
Hæc & Hisabella celebri sic nomine dicta;
Deq. Apia clarum traxit cognomen auorum
Francia quos genuit, memorat conquestaq. Regni.
Mortua non moritur; quia famam dat sibi uirtus.
Mille fluunt Anni. CCCLXX.
Quinq. simul positis. Inditio tertia dena
Iulius hanc rapuit decima post quarta diesq.

Vol dire in lingua volgare:

“Quella che cuopre questo tumulo, havendo abandonate le cose terrene, già tene la sedia tra le stelle, poi che tolta da sì forti luoghi, è collocata nel cielo, ragionevolmente congionta ad un tanto marito, quanto nei suoi versi questo vicino sasso lo manifesta. Questa fu specchio dela vita, questa fu regula dei costumi, casta, humile, misericordiosa, mansueta a tutti, modesta; non femina fragile, ma più veramente animo virile. Questa col suo celebrato nome fu detta Isabella, quale trasse il chiaro cognome de Apia dai suoi avi, nati nella Francia et nominati anchora per la conquesta del Regno. Morta non more, poiché la virtù li dà fama. Fu rapita scorrendo mille trecento sittanta cinque anni, nella terza decima inditione, ali quattordici del mese dedicato a Giulio”

[183v]

Entrando dala detta porta magiore, nela parte sinistra è un sepolcro di marmo ov’è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Præmia si meritis donant condigna superni,
Hic meruit superum post sua fata locum.
Dum uixit uirtute micans, bonus atq. modestus.
Secretus Regis consiliator erat.
Publica semper amans, Antonius iste uocatus
De Penna dictus, quem tegit iste lapis.

Vol dire in volgare:

“Se gli dei donano li premii degni ali meriti, questo, chiamato Antonio de Penna, coperto da questo sasso, meritò haver poi la sua morte il luoco nel cielo, poiché fu mentre visse (essendo secreto consigliero del re) splendente per la virtù, buono et modesto, sempre amatore delle cose publice”

In quello sepolcro di marmi, qual sta prossimo ala porta dela sacristia, sta il mortale dela regina Giovanna, benché le lettere del’epitaphio siano guaste.

Nell’altro sepolcro, che sta dala parte destra del sepolcro di re Roberto, sta il corpo di Maria di Francia, imperatrice di Costantinopoli et duchessa di Durazzo; morì nelli anni del Signor mille trecento sissanta sei.

Appresso nell’altro sepolcro sono li corpi de Agnessa di Francia, imperatrice di Costantinopoli, e di Clemenza di Francia, figlia di Carlo duca di Durazzo.

[184r]

Santo Francesco è uno monastero di monache qual sta da una parte al’incontro del campanile di Santa Chiara, da un’altra dirimpetto al palazzo del’illustrissimo Principe di Bisignano.

Fu fundato nel tempo di re Roberto; nel presente vi sono circa quarantacinque monache, la madre di esse è la magnifica e reverenda sore Aurelia Riccia, et fanno ufficiare da’ monaci franceschini osservantini, et dette monache pur sono osservantine; hanno d’intrata circa ducati ottocento, però hanno molte elemosine per complire a.lloro bisogni de vitto e vestito. Nel detto monastero al presente dimora l’illustrissima donna Giulia di Consaga, con tanta humiltà che par proprio una dele sorelle, et vi fa molto bene.

Nella detta chiesa al piano è una sepoltura, ov’è scolpito lo sotto scritto epitaphio:

Pirro Antonio Sapono
Inter præpositos Regij Patrimonij adscito,
In Re publica administranda graui iudicio electo Sexuiro
legationibus
Ad Carolum. V. Cæs. Itemq. ad Philippum Regem filium
summa laude honestato;
Pijssima heredum cura persoluit.
Vix. Ann. LVII. obijt. M. D. LI.

[184v]

Che in volgar dice così:

“A Pirro Antonio Sapone, presidente in la Regia Cammera dela Summaria, fatto eletto per lo suo grave giuditio in administrare la republica con somma lode, honorato per legatione a Carlo Quinto imperatore, et similmente a Philippo re suo figlio; il pietoso pensiero deli heredi pagò il debito dela sepoltura. Visse anni cinquantasette, morì nel mille cinquecento cinquant’uno”

Santo Geronimo è uno monastero di monache franceschane osservantine posto prossimo ala piazza dela porta piccola di Santo Giovanne Maggiore, et proprio al’incontro il giardino del magnifico Cosimo Pinello, nobile dela città di Genova. Nel presente vi sono da monache quarantacinque, la madre così nominata è la magnifica et reverenda sore Madalena dela nobil famiglia Di Gaieta; hanno d’intrata circa ducati ottocento, quali non bastariano al lor vitto e vestito se non fussero le elemosine che vi sono fatte.

[185v]

La Maddalena è uno monastero di monache qual sta al’incontro dell’ecclesia dela Annunciata, benché la parte dove si entra al detto monastero et alla chiesa sia nella strada quando si va da Sopramuro al Palazzo della Giustitia, a man destra. Questo monastero fu fundato dala sopra nominata regina Maria, madre che fu de re Roberto; vi stanno nel presente circa monache cento, vestite negre, del’ordine eremitano di santo Augustino, però son governate dal’ordine francischino, perché il reverendissimo Seripanno, al tempo che fu generale del detto ordine eremitano, tolse questo peso de governar monache ali frati d’Italia, ove per tutto l’ottenne, fuor che in Fiorenza ove sono bellissimi monasteri de donne governate dal detto ordine. Nel detto monastero l’abbatessa è al presente la magnifica et reverenda sore Dionora Montanara; hanno d’intrata circa ducati dui milia.

La Egittiaca è uno monastero di monache qual sta un poco più ad alto del’appennino nominato di Santo Augustino; nel presente vi sono circa monache sittanta, l’abbatessa è la magnifica e reverenda sore Faustina Sanguegna, et sono vestite pur negre del’ordine eremitano, ma governate dali frati franceschini como lo sopra detto monastero dela Maddalena, per la caggion che sopra habbiamo detto; hanno d’intrata circa ducati dui milia. Questo monastero fu fundato dala sopra nominata regina Maria, madre di re Roberto, però fece fare detto monastero per le pentite, et per detta causa li pose il nome dela Egittiaca, qual fu donna pentita, et questo per consiglio d’un suo confessore, [186r] nominato frate Filippo Francese, il corpo del quale è nela chiesa di Santa Chiara et lo teneno per beato. Dopo un certo tempo, le pentite che si trovaro al’hora, mal consigliate dal mondo, dal demonio et dala carne, ritornaro al vomito, et così ci introrno vergeni et così sempre è sequito. Hanno per reliquie lo deto dela detta Egittiaca et lo teneno con grandissima veneratione; et li frati franceschini ufficiano la loro chiesa.